Entradas populares

sábado, 26 de noviembre de 2011

Né con Truman né con Stalin. Storia del P.c.Int.

Da qualche mese è in libreria il corposo volume di Sandro Saggioro Né con Truman né con Stalin. Storia del Partito Comunista Internazionalista (1942-1952) - Edizioni Colibrì. Come si evince dallo stesso titolo, il libro narra le vicende dei primi anni di vita del Partito Comunista Internazionalista a partire dallo studio delle varie componenti che diedero vita all'organizzazione fino alla fatidica spaccatura in due tronconi. Arricchisce il volume l'appendice documentaria che contiene tutta una serie di documenti - alcuni veramente di difficile reperibilità, considerato lo stato di abbandono in cui versano gli archivi delle organizzazioni, dirette eredi di quella esperienza - che testimoniano l'acceso dibattito teorico e politico che precedette la frattura, nel 1952, del Pcint. in due tronconi.
L'autore del libro ha il grande merito di aver finalmente rotto quel silenzio assordante che la classe dominante ha imposto tutt'intorno all'esperienza del Partito Comunista Internazionalista in quanto pochi e frammentari sono stati finora gli studi storici dedicati alle vicende internazionaliste e, in ogni caso, nessuno ha tratto l'argomento con la stessa organicità e con la dovizia di testi a corredo.
Come tutti gli storici anche Saggioro svolge un'attività interpretativa di documenti imponendo alle vicende, inevitabilmente, il proprio punto di vista tant'è che lo stesso autore, con molta onesta intellettuale, avverte che "Chi ha affrontato il presente lavoro non ha certo pretesa di imparzialità; sta tutto dalla parte della formazione rivoluzionaria di cui ha narrato e, su questa linea, ritiene impareggiabile e fondamentale il contributo di Amadeo Bordiga, contributo che però si dispiegherà compiutamente, soprattutto a partire dal momento in cui questa narrazione si conclude e proseguirà poi fino alla morte, nel 1970". (1)
Tuttavia, proprio il ritenere impareggiabile e fondamentale il contributo di Amadeo Bordiga - cosa, peraltro, per molti versi condivisibile - porta il nostro autore a dare all'intera esperienza internazionalista un'interpretazione che non ci sentiamo assolutamente di condividere. In primo luogo intorno alla fondazione dell'organizzazione internazionalista. Il Partito Comunista Internazionalista nasce alla fine del 1942 grazie al contributo di compagni che operavano in Lombardia e Piemonte ed erano rimasti fedeli ai valori del comunismo rivoluzionario. Pur non essendoci stato alcun congresso fondativo - cosa, in tutta evidenza, non fattibile in pieno regime fascista - un cospicuo numero di compagni si è aggregato per dare vita al Partito Comunista Internazionalista. Senza voler far torto a nessuno di quei compagni, è doveroso rimarcare come sia stato Onorato Damen colui che ha dato il maggior contributo (impulso) sul piano teorico e organizzativo. Il fatto che il partito si sia già costituito alla fine del 1942 (2) non costituisce ancora dato sufficiente per il nostro autore tant'è che il medesimo, a pagina 31, scrive "A queste forze che si erano aggregate al nord si aggiungeranno dal 1943 in poi, gli elementi della Frazione all'estero che rientravano alla spicciolata in Italia ed inoltre, nel 1945, ..., la Frazione di Sinistra dei Comunisti e Socialisti Italiani che si era sviluppata da Roma in giù. Dalla fusione di queste tre forze che andiamo ora ad esaminare, alla fine della guerra, si svilupperà il Partito Comunista Internazionalista".
Proprio il volere, a tutti i costi, dare accentuazione alla figura di Amadeo Bordiga, anche laddove ciò potrebbe essere pleonastico, considerato il tipo d'indagine condotta, porta l'autore a sottovalutare la fondazione del partito nel 1942, quasi fosse un fatto leggendario, e ad interpretare le successive vicende internazionaliste alla luce di quella che sarà l'esperienza bordighiana.
Il Partito Comunista Internazionalista è fondato alla fine del 1942 e ad ingrossare le proprie fila contribuisce il confluire dei compagni della Frazione all'estero e della Frazione di Sinistra, tant'è che l'adesione dei compagni avviene su base individuale e previo scioglimento delle due frazioni. Forse l'asserire questo, per il nostro autore, significa sminuire la figura di Amadeo Bordiga, per cui ne deriva il distinguo ermeneutico fra atto di fondazione o processo di fondazione del partito. Noi riteniamo sia più aderente alla realtà dei fatti parlare di atto di fondazione del Partito Comunista Internazionalista e nello stesso tempo riconoscere il merito a quei compagni che, in piena dittatura, hanno avuto il coraggio di organizzarsi per combattere il capitale nella versione fascista e stalinista e senza che tutto ciò abbia a sminuire la statura di Amadeo Bordiga. Ma un fatto ci sembra abbastanza chiaro: il partito nasce prescindendo dalla volontà di Bordiga ed in virtù dell'apporto assai fattivo di compagni come Onorato Damen. Bordiga - occorre porlo nel dovuto rilievo - non aderirà mai all'organizzazione internazionalista, avendo però modo, allo stesso tempo, di condizionare molti compagni per mezzo della sua spiccata personalità e Saggioro, pur essendo a conoscenza di tutto questo e scrivendone, ha commesso l'errore di interpretare le vicende internazionaliste alla luce delle successive elaborazioni del rivoluzionario napoletano. Nella densa descrizione delle vicende del partito comunista internazionalista, arricchita - come dicevamo - da un'ampia appendice documentaria, ci ha lasciato alquanto perplessi la notizia che il Saggioro riporta nella nota 13 a pag. 178 in cui scrive "Di Francesco Maruca abbiamo già parlato; responsabile della federazione di Catanzaro, all'epoca della rottura rimase a fianco di Damen, dalla cui organizzazione si staccò più tardi." Non sappiamo quale fonte abbia consultato Saggioro tale da indurlo a riportare tale notizia, ma Ciccio Maruca non si è mai staccato dal Partito Comunista Internazionalista, militando nell'organizzazione fino alla morte avvenuta a Bologna nel novembre del 1962. A testimonianza della sua ininterrotta militanza nel partito riportiamo quanto Battaglia Comunista nel numero undici del novembre 1962 scrive in occasione della sua morte "Ciccio Maruca è morto. Mentre il giornale va in macchina ci giunge inattesa e dolorosa la notizia della morte del nostro compagno. Parleremo ancora di Maruca per ricordare ai compagni e per illustrare ai più giovani che non lo hanno conosciuto, l'opera di questo combattente la cui milizia ha percorso per intero l'arco della milizia delle generazioni di Livorno, fino alla formazione del nostro partito, nella quale ha profuso generosamente le sue eccezionali doti di agitatore, di propagandista instancabile e di giornalista di partito incisivo e mordente. La morte di Maruca apre un grande vuoto nelle file del partito non facilmente colmabile; abbiamo tuttavia la certezza che altri e più giovani prenderanno il suo posto e faranno propria la sua eredità politica in cui il problema dell'unità delle forze rivoluzionarie sul piano ideologico, politico e organizzativo del partito comunista internazionalista ha un posto essenziale e non dilazionabile. Addio Ciccio." (3)
Per concludere questa nostra breve recensione ci sembra particolarmente interessante, da un punto di vista politico, quanto scrive, sempre il Saggioro, a pag.16 allorché illustra lo scopo del proprio libro "Quanto ci siamo prefissi con questo lavoro è di scrivere la storia del Partito Comunista Internazionalista dalla sua nascita, nel cuore stesso della seconda guerra mondiale, fino al 1951-52, quando le sue forze si separarono in due tronconi. Codesta storia nessuno l'ha mai scritta e quindi, ora che il ciclo di questa esperienza rivoluzionaria si è concluso, sarebbe quanto mai opportuno provvedere". La necessità di scrivere questa storia nascerebbe per Saggioro proprio dalla fine del ciclo di questa esperienza rivoluzionaria, ma lo stesso autore, in quanto storico, chiarisce che "Ovviamente chi continua questa esperienza non sarà proprio d'accordo con quanto diciamo: il Partito Comunista Internazionalista che fa capo a Battaglia Comunista esiste ancora, e la diaspora delle formazioni che si richiamano ad Amadeo Bordiga ha dato vita ad altri Partito comunisti internazionali." (4) Va da sé che quello che Saggioro non può dire in qualità di storico lo possiamo dire noi in qualità di militanti rivoluzionari: l'esperienza della sinistra comunista si è chiusa con una sonora sconfitta e occorre fare un bilancio dissacrante onde poter rilanciare il progetto dell'alternativa socialista. E' vero che Battaglia Comunista ancora esiste, così come i tanti gruppi che si rifanno a Bordiga, ma la loro esistenza organizzativa non nasconde il processo di sclerotizzazione che ha fatto di loro tante chiesuole rattrappite in se stesse a rimirarsi il loro ombelico. Battaglia Comunista è ormai un gruppo totalmente appiattito sulle posizioni dell'anarco-sindacalismo e del movimento antagonista, mentre per il variegato mondo bordighista essendo tutto già stato detto scritto ai rivoluzionari rimane solo il compito di mantenere vivo il Bordiga-pensiero. In realtà, è in quest'abbandono del metodo del materialismo storico che possiamo osservare la fine del ciclo di quell'esperienza rivoluzionaria. Saggioro ha assolto il compito di scrivere la storia di quell'esperienza con i limiti che sinteticamente abbiamo cercato di mettere in evidenza. Alle sparute avanguardie rivoluzionarie spetta un compito ben più gravoso: ricostruire il partito comunista che non potrà che essere internazionale e internazionalista.

Lorenzo Procopio

Note
1) Pagina 17 del libro Né con Truman né con Stalin. Storia del Partito Comunista Internazionalista 1942 - 1952.
2) A pagina 30 del libro è riportata la nota redatta da Bruno Maffi per il Dizionario di cultura politica in cui c'è scritto che "nato sulla fine del 1942 il partito comunista internazionalista è tuttavia il punto d'arrivo di un lungo processo di elaborazione ideologica..."
3) E' in una fase di avanzata elaborazione uno studio sulla figura di Francesco Maruca e sul movimento comunista nella provincia di Catanzaro, che l'Istituto Onorato Damen dovrebbe pubblicare nel corso del 2012 in occasione del cinquantenario della morte di Ciccio Maruca.
4) Vedi nota 5 a pagina 16 del libro Nè con Truman né con Stalin. Storia del partito comunista internazionalista.
DemmeD' Problemi del socialismo nel XXI secolo Rivista teorica dell'Istituto Onorato Damen, n.3, luglio 2011.

CONCLUSIONES DEL FORO DE LA TIERRA 2011

Del 9 al 11 de noviembre se llevó a cabo el Foro de la Tierra 2011 en Salta, Argentina, evento organizado por la Coalición Internacional para el Acceso a la Tierra (ILC), la Fundación para el Desarrollo en Justicia y Paz (FUNDAPAZ) y la Federación Agraria Argentina (FAA). El Foro congregó a más de 250 representantes de organizaciones que trabajan la temática de la tierra y el desarrollo rural a nivel nacional y regional.
1. Los problemas vinculados al tema de la tierra son de largo plazo y provienen de una historia relacionada a procesos de pérdida y expulsión, de luchas por la tierra y procesos de reivindicación. El tema de la propiedad no está resuelto, persisten los reclamos, los desalojos y conflictos.
2. El tema de la tierra atañe a todos en los diferentes países latinoamericanos. Las leyes de tierras tienen historias diferentes, responden a distintas propuestas y son negociadas de distintas formas. Esta situación ocasiona conflictos, los que pueden ser resueltos de forma adecuada o pueden ser largos y complejos de resolver.
3. Necesidad de trabajar en procesos de ordenamiento territorial. La tierra atañe al conjunto del territorio, losproblemas vinculados a este recurso no pueden pensarse de forma aislada, las respuestas atañen a múltiples actores, estas pueden ser concertadas o tensas y suelen estar vinculadas a acciones de presión.
4. Los jóvenes que trabajan en el campo no son adolescentes, tienen edad para tener parejas y familias, por lo que tienenmayor facilidad para generar arraigo en su tierra, lo que requiere esfuerzos conjuntos y concertación. Existe una actual preocupación por la formación de las nuevas generaciones en el campo, que son las que dan sostenibilidad a los proyectos, por lo que se debe impulsar la inserción de los jóvenes en los procesos vinculados a la tierra y desarrollo rural.
5. Los observatorios y sistemas de vigilancia de la tierra y recursos naturales brindan una oportunidad única para observar los procesos vinculados a la tierra tal y cómo van pasando. Los observatorios dejan un rastro del problema de la tierra y los diferentes temas y actores involucrados –pueblos indígenas, campesinos, criollos, estados, entre otros. Es importante reflexionar sobre los i) procesos que se observan y monitorean, ii) la tipología de productos que se generan y su utilidad, y iii) la interpretación de datos.
6. Desde la perspectiva indígena el tema de la tierra es un tema de territorios. Los pueblos indígenas actualmente tienen diferentes experiencias en relación a la tierra, se observan lógicas distintas a las tradicionales: la tierra vinculada al desarrollo, expectativas para aprovecharla y ponerla en valor.
El Estado está presente en el tema de la tierra y los problemas de los pueblos indígenas por este recurso, la relación entre estos dos actores es cambiante, diversa, tensional y central. Los procesos implican aprendizajes de ambos lados, tanto desde los Estados, como de los movimientos indígenas.
7. Tras la retirada del Estado registrada en las últimas décadas en los países latinoamericanos, es necesario redefinir cómo se maneja el tema de la tierra y los territorios. Para ello se debe tener en cuenta distintos factores, entre ellos: i) el cambio en las lógicas de las reformas agrarias anteriores y actuales, ii) cambio de significados de la tierra –tema de acceso a recursos y no solo de propiedad y tenencia, iii) necesidad de participación de los diferentes actores en las políticas públicas, no solo importa la calidad de las leyes, sino cómo estas han sido negociadas y su legitimidad social.
8. En la Argentina el manejo de los territorios y la competencia para la resolución de conflictos se trabaja desde la dimensión nacional –gobiernos y leyes nacionales– y local –gobiernos regionales con sus propias legislaciones–, situación que se repite en otros países de la región. En estos contextos complejos se debe revisar cómo se define la propiedad en relación al Estado, las colectividades y los diversos grupos que habitan los territorios, las lógicas de apropiación y propiedad y los procesos de transformación productivos, así como los mecanismos para el desarrollo de los territorios y la propiedad de la tierra teniendo en cuenta las diferencias entre las distintas poblaciones.
9. Desafíos a futuro:

i) necesidad de conceptualizar y establecer un lenguaje común para poder discutir los temas relacionadas a la tierra y los territorios,

ii) impulsar soluciones locales de cara a las tensiones globales,

iii) promover el diálogo y los procesos de negociación,

iv) asegurar y garantizar la seguridad en la tenencia de la tierra considerando a las diversas poblaciones,

v) plantear soluciones diferenciadas para los problemas de la tierra teniendo en cuenta las necesidades de los diferentes grupos,

vi) necesidad de manejar políticas agrarias y medidas a diferentes niveles (nacional, regional y local),

vii) conservación de identidad de cara a los procesos actuales de cambio.




sábado, 19 de noviembre de 2011

MARCO ARANA ANALIZA PROYECTO CONGA

VER:
http://es.mc269.mail.yahoo.com/mc/welcome?.tm=1321763403#_pg=showMessage&sMid=2&&filterBy=&.rand=1220722511&midIndex=2&mid=1_774444_AFuwktkAAFGkTsiC8QbGuDVOwvA&fromId=utguerrero31@yahoo.es&m=1_777675_AF2wktkAAIjZTsiEBwC0ulxNy6s,1_776407_AF6wktkAATR9TsiDzgTqKGnpQco,1_774444_AFuwktkAAFGkTsiC8QbGuDVOwvA,1_775690_AFuwktkAACjZTsiAYw6AXW1mO2g,&sort=date&order=down&startMid=0&hash=9b038e0f7ab711ab3bf76d180fedd906&.jsrand=4051735

OLLANTA EN SU LABERINTO

Por: Ubaldo Tejada Guerrero
La tragedia ecológica y la pérdida de tierras comunales en el Perú, se suma el limitado beneficio económico y laboral de las regiones, por los mega proyectos mineros, que en caso de “Conga” ha generado rechazo en sectores amplios de la población cajamarquina, y peruana, así el presidente regional, Gregorio Santos, declaró que el proyecto es “inviable” y la declaración del mandatario "no es una respuesta para Cajamarca".
Leer más...
http://www.patriaroja.org.pe/index.php?option=com_content&view=article&id=1458:ollanta-en-su-laberinto&catid=35:articulos-y-colaboraciones&Itemid=58
Este es un e-mail de (PARTIDO COMUNISTA DEL PERÚ PATRIA ROJA) enviado por EL PENSIONISTA (utguerrero31@yahoo.es). Puede encontrar de su interés el siguiente enlace: http://www.patriaroja.org.pe/index.php?option=com_content&view=article&id=1458:ollanta-en-su-laberinto&catid=35:articulos-y-colaboraciones&Itemid=58

ESPAÑA, PELIGRO INMINENTE

Por: Ignacio Ramonet
La histórica decisión de la organización ETA (Euskadi Ta Askatasuna), anunciada el pasado 20 de octubre, de “cesar definitivamente su actividad armada” sin condiciones, pone término a 43 años de violencia política en España, y representa el fin de una suerte de trágica excepción española en Europa.
Desde la muerte del dictador Franco en 1975 y la adopción por referéndum de la Constitución en 1978, nada justificaba el recurso al asesinato político, al atentado o a la violencia armada. Todo ello (así como la tortura y la represión policial) ha causado un enorme sufrimiento social y centenares de víctimas mortales. La propia sociedad vasca, como lo expresó el dirigente abertzale Arnaldo Otegi en julio pasado, ya no toleraba el terrorismo.
Es menester ahora avanzar hacia la construcción de la paz y la convivencia, sin vencedores ni vencidos, en el marco definido el 17 de octubre pasado por los expertos internacionales en la Declaración final de la Conferencia de Paz de San Sebastián (1). Éstos aconsejaron “tratar exclusivamente las consecuencias del conflicto”, o sea: la situación de los presos y de los clandestinos; la restitución de las armas; la compensación y la asistencia a todas las víctimas; el reconocimiento del dolor causado; y la ayuda para sanar las heridas personales y sociales. Pero también, si se desea establecer para siempre la concordia, habrá que avanzar de manera responsable en lo político con la participación de todos los partidos democráticos de España y Euskadi.
Es interesante observar que ETA ha anunciado su adiós a las armas justo un mes antes de las decisivas elecciones legislativas del 20-N. Un escrutinio que, según las encuestas de opinión, debería ganar con fuerte probabilidad el Partido Popular (PP), vencedor ya de las últimas elecciones locales. ¿Ha querido ETA, en cierto modo, influir en ese escrutinio? ¿Ha deseado, con el cese de su actividad armada, apoyar una línea nacionalista no violenta que, como lo demostró el éxito de Bildu en las elecciones municipales de mayo pasado, cuenta hoy con la simpatía de una gran parte del electorado abertzale? ¿En qué medida el fin del terror podría también ser capitalizado electoralmente por el PSOE como una victoria política del Gobierno actual capaz de atenuar su anunciada derrota?
Muchos electores habituales del PSOE estaban decididos, en efecto, a sancionar esta vez al partido de José Luis Rodríguez Zapatero. No sólo a causa de la crisis inédita que vive el país sino por las brutales políticas de ajuste (“impopulares pero necesarias”, afirmó el Presidente) que han castigado sobre todo a las clases medias y humildes, así como a los jubilados y a los jóvenes. Y porque Zapatero –en una muestra de “coraje político”, según él–, se ha rendido a los mercados, no dudando en asumir las consignas ultraliberales exigidas por los inversores internacionales, el Fondo Monetario Internacional (FMI), el Banco Central Europeo (BCE) y la canciller alemana Angela Merkel.
Pareciera además que la impopularidad actual del presidente Zapatero lo inhibiera en algún modo de cualquier pudor a la hora de tomar, a final de mandato, medidas descaradamente conservadoras, últimos desafíos a su propio electorado socialista. Por ejemplo: la reciente reforma de la Constitución, sin referéndum, para limitar los déficits presupuestarios como se lo exigían Francia (que no se lo aplica a sí misma) y Alemania. O la muy controvertida decisión del 4 de octubre pasado (cuando ya las Cortes estaban disueltas), de firmar un acuerdo en el que España cede a EEUU la base de Rota como sede naval del escudo antimisiles de la OTAN.
Zapatero se lo ha puesto muy difícil a su virtual sucesor, Alfredo Pérez Rubalcaba, al dejar un Partido Socialista desorientado, confundido, aturdido, extraviado, exánime y derrotado. No se repondrá fácilmente el PSOE. Le esperan largos años de travesía del desierto en espera de su refundación.
No es buena noticia para España. Sobre todo porque la izquierda de la izquierda, de donde deberían provenir las ideas más audaces y más constructivas para sacar al país del atolladero se halla demasiado fragmentada. Y porque otras fuerzas de progreso que suben en el resto de Europa, la ecología política por ejemplo (léase, en esta misma página, el artículo de Joan Martínez Alier), se encuentran aún, aquí, en el limbo.
Este contexto favorece electoralmente al PP. Y las encuestas lo anuncian, en efecto, como vencedor del próximo escrutinio. Muchos electores que se disponen a votarlo creyendo que un eventual Gobierno de Mariano Rajoy hará una política económica diferente de la de Zapatero –o sea una política sin ajustes, sin recortes y sin austeridad–, deben saber que no será así. Simplemente porque Zapatero, en los últimos 18 meses, ha hecho, en economía, una política ya de derechas. Y que, con mayor razón, Rajoy la acentuará.
Basta con ver cómo se está comportando la derecha actualmente en otros pagos. En Cataluña, por ejemplo, el Gobierno de la Generalitat presidido por Artur Mas (Convergència i Unió) está aplicando (“sin que nos tiemble la mano”, ha dicho Mas) recortes drásticos en los sectores de la Sanidad y de la Educación que han disparado las protestas. En Sanidad, por ejemplo, anunció una reducción de mil millones de euros, o sea el 10% de los recursos con los que contó el pasado ejercicio en tiempos del Tripartito. Ello significa cierre de centros sanitarios, supresión de plantas y quirófanos, pérdida de camas, despido de auxiliares y médicos, supresión de turnos de noche, etc. O sea, castigo para los pacientes.
En Castilla-La Mancha, la presidenta María Dolores de Cospedal (PP) presentó a final de agosto pasado un plan de choque para recortar más de 1 800 millones de euros. Congeló la oferta pública de empleo en todos los sectores y suprimió el 40% de los puestos de personal eventual en la Administración pública. A los profesores de Educación Infantil, Primaria y Secundaria se les aumentaron autoritariamente dos horas lectivas cada semana. Se suprimieron casi todos los centros de formación de los docentes. Y los mayores recortes están previstos en el sector de la Sanidad (2). Para el PP, Castilla-La Mancha es el laboratorio de lo que la derecha se dispone a hacer si Rajoy consigue llegar a la Moncloa. El peligro es pues inminente. ¿Acaso la propia María Dolores de Cospedal no definió su brutal terapia de choque como “un ejemplo” para toda España?

Notas:
(1) El País, Madrid, 18 de octubre de 2011.
(2) Idem, 31 de agosto de 2011.

XIII CONGRESO DE LA CONFEDERACIÓN GENERAL DE TRABAJADORES DEL PERÚ

La Plenaria del XIII Congreso de la CGTP
CONSIDERANDO:
1. Que la larga lucha del pueblo de la región Cajamarca en defensa del agua, del medio ambiente y el desarrollo sustentable es una lucha justa por sus derechos humanos, económicos y sociales fundamentales.
2. Que más de 20 años de explotación minera por la Compañía Yanacocha y Newmont Mining no han traído mayor progreso para la región y muy por el contrario, junto a otras empresas mineras han sembrado pasivos ambientales, contaminación, desigualdad y pobreza, encontrándose Cajamarca en el vigésimo (20) lugar del índice de Desarrollo humano.
3. Que en el caso del proyecto minero Conga en Celendín-Cajamarca están amenazadas directamente cuatro lagunas, bofedales, acuíferos y zonas altamente vulnerables de cabecera de cuenca, habiéndose festinado trámites para la aprobación del deficiente estudio de impacto ambiental (EIA) que carece de investigación hidrogeológica, y otorgado permiso de operación a marcha forzada el 27 de Julio a un día del cambio de gobierno.
4. Que las autoridades regionales y locales democráticamente elegidas se han pronunciado por alternativas de transparencia e integralidad en torno al EIA, por la consulta previa, y la zonificación económico-ecológica como base de su ordenamiento territorial, recomendando la paralización del proyecto Conga y otros similares en su región.
ACUERDA:
1. Apoyar solidariamente al pueblo cajamarquino en su justa lucha por la defensa del agua, el medio ambiente y el desarrollo sustentable.
2. Expresar la solidaridad de los trabajadores con las autoridades regionales y locales democráticamente elegidas, con el Presidente de la Región Cajamarca Profesor Gregorio Santos Guerrero y con los alcaldes provinciales y distritales que lideran la lucha social y medioambiental.

Lima, 19 de Noviembre del 2011

RESPUESTA PATRIÓTICA A HUMALA

Por: Arturo Muñoz
Candela369@gmail.com

Ollanta pone la cabeza en la guillotina
A su regreso de la reunión de APEC, Ollanta Humala atacó al movimiento en defensa del agua de Cajamarca, movimiento numeroso, compuesto por diferentes clases sociales, cuenta con el apoyo de casi todas las organizaciones políticas de la región. La demanda de la Plataforma Interinstitucional Celendina es la paralización definitiva del proyecto Conga de la Minera Yanacocha, propiedad de Newmont Mining Corporation (51,35%), Compañía de Minas Buenaventura (43,65%) e International Finance Corporation – IFC (5%), al estar el proyecto Conga ubicado en la cabecera de cuenca, donde hay lagunas las cuales dan origen a varios ríos y proveen de agua a miles de familias rurales.
Humala sin medir las consecuencias de sus declaraciones, pues instituciones como la Asamblea Nacional de Gobiernos Regionales, la Red de Municipalidades Rurales del Perú, reconocidos especialistas ambientalistas se pronunciaron en apoyo al movimiento cajamarquino; sin tomar en cuenta la zonificación ecológica y económica realizada por el Gobierno Regional de Cajamarca, en un periodo de 4 años con la participación de especialistas y con mucha inversión, la cual declaró la zona del proyecto no apta para la explotación minera. Con todos estos agravantes, a su regreso de APEC, luego de reunirse con capitalistas mineros, Ollanta desenvainó la espada contra el pueblo cajamarquino.
En respuesta a la amenaza presidencial, la población local de Cajamarca y, aún más, el pueblo peruano en general, cansados de caudillos sin palabra, pues en la campaña electoral Humala dijo estar a favor de mantener el agua pura para el uso agrícola y humano antes que explotar oro, el pueblo lo ha tildado de pro capitalista minero. Es decir Ollanta ha puesto su cabeza en la guillotina, pues sin el apoyo de la mayoría patriótica que lo llevó al poder, su salida de la presidencia por acción del movimiento social agitado por la derecha y la izquierda es cuestión de meses, como le sucediera al general Lucio Gutiérrez en Ecuador, quien traicionó al movimiento campesino ecuatoriano.
Persistir en la conformación de un Gobierno Patriótico
La Nueva Mayoría Patriótica en una parte se siente decepcionada por el viraje derechista de Ollanta Humala, otro sector declara haber votado por Ollanta como el mal menor ante los candidatos de la derecha y era previsible su entrega al poder económico y político del gran capital. Luego de haber pasado los 100 días con una aprobación aceptable del 57%, su popularidad se viene a pique en los sectores más duros de soporte con los cuales contaba.

Sin embargo el fracaso del gobierno de Humala al no poder frenar los abusos del neoliberalismo (no pago de impuestos por las transnacionales, continúa campante la corrupción, inconstitucionalmente se mantiene el contrato con el Consorcio Camisea, etc.), es un estímulo a mantener la lucha por un Gobierno Patriótico. Y las consecuencias de la crisis mundial crearán las condiciones objetivas para conseguir este fin. Las crisis tienen la virtud de desgastar en corto tiempo las opciones no aprobadas por la mayoría patriótica.
Construyendo el movimiento político patriótico
A lo largo y ancho del Perú los movimientos sociales enarbolan las banderas de la defensa de los recursos naturales, del cambio del modelo neoliberal, de una sociedad con justicia social, sin explotados ni explotadores. El discurso del crecimiento con inclusión social por los hechos del gobierno humalista ya no es aceptado. Un discurso gubernamental sin auditorio deja un vacío a ser llenado por una propuesta de una sociedad colectiva, de soluciones colectivas a la crisis, para lo cual es importante conquistar el gobierno, sin entrar en debates estériles sobre puntos constitucionales.
Un argumento de quienes enarbolan la convocatoria a una Asamblea Constituyente y de un debate en el actual Congreso de puntos de la constitución a modificar, es la correlación desfavorable de fuerzas para el movimiento popular; sin tomar en cuenta la conciencia mayoritaria, un 62% según Datum apoya al movimiento de Cajamarca en contra del proyecto Conga, por ejemplo. Por ello la Nueva Mayoría Patriótica puede constituirse en un movimiento político alternativo muy rápidamente.
El nacionalismo y la izquierda
Aún la ruptura del nacionalismo y un sector de la izquierda puede demorar, dependiendo de cuan veloz los acontecimientos políticos se den. Muchos nacionalistas son consecuentes con su pensamiento y serán apoyados en sus cargos en el Estado por el pueblo.
Pero así como el pueblo le cerró las puertas a la izquierda por sus inconsecuencias, su crisis ideológica, programática y ética; y en las últimas elecciones castigo los faenones apristas y a la derecha neoliberal; si Humala prosigue con el apoyo a los capitalistas y su voracidad de dinero fácil cuya consecuencia es la destrucción del medio ambiente y la pobreza de los peruanos y peruanas, entonces el pueblo también le cerrará las puertas.
Por ende, es necesario diferenciar a Humala del ala izquierdista del gobierno. Luchar por mantenerlos en sus puestos y ampliar la lucha por un Gabinete Patriótico como punto de las movilizaciones y jornadas de lucha.


viernes, 18 de noviembre de 2011

EL SOCIALISMO ES EL FUTURO

Comunistas del mundo se reúnen para articular acciones de lucha conjunta
Escrito por Tribuna Popular Viernes, 18 de Noviembre de 2011 13:18

XIII Encuentro Internacional de los partidos comunistas y obreros
Atenas, 18 nov. 2011, Tribuna Popular TP.- El epicentro mundial más simbólico de la aplicación de las políticas antipopulares del FMI, la Unión Europea, su Banco Central y gobiernos entreguistas –es decir, Grecia–, será también la sede del XIII Encuentro Internacional de Partidos Comunistas y Obreros que debatirán estrategia mundial para enfrentar la agresión imperialista en la perspectiva de un fututo socialista para la humanidad.
Del 9 al 11 de diciembre, los cerca de 80 Partidos Comunistas y Obreros, constatarán también directamente la organización de la resistencia y combates que está librando la clase obrera griega –especialmente los agrupados en el Frente Militante de todos los trabajadores (PAME)– a la cabeza de los demás sectores sociales y en los demás países del mundo, incluyendo los levantamientos populares que se están desarrollando contra el sistema capitalista.
Estos Encuentros, que se realizan anualmente desde 1999, nacieron justamente en el país helénico, con el fundamental apoyo del Partido Comunista de Grecia (KKE), pasando desde 2007 a hacerse en otros países, consecutivamente en Portugal, Brasil, India y Sudáfrica.
La temática que abordará esta XIII edición, parte de la premisa “¡El Socialismo es el futuro!”, y versará sobre: “La situación internacional y la experiencia de los comunistas 20 años después de la contrarrevolución en la URSS. Las tareas para el desarrollo de la lucha de clases en condiciones de crisis capitalista, de guerras imperialistas, de los actuales levantamientos y luchas populares, por los derechos populares y de la clase obrera, el fortalecimiento del internacionalismo proletario y el frente antiimperialista, por el derrocamiento del capitalismo y la construcción del Socialismo.”
Del Partido Comunista de Venezuela (PCV) participa una delegación compuesta por su Secretario General, Oscar Figuera, y el Secretario de Relaciones Internacionales, Carolus Wimmer e insistirá en la articulación mundial del movimiento comunista internacional y el desarrollo de los Frente Antiimperialista a nivel mundial y regional .
La delegación venezolana prevé que el Encuentro Internacional se volverá a pronunciar con fuerza en solidaridad con el proceso revolucionario venezolano, frente a las acciones de agresión y desestabilización que adelanta el imperialismo.
Este Encuentro es el resultado varios meses de preparación, que se confirmará con la amplia participación, resaltando la importancia de este proceso para el fortalecimiento del movimiento comunista y revolucionario internacional en un cuadro de profundización de la crisis del capitalismo.
Cada uno de los Partidos Comunistas y Obreros del mundo rechazan históricamente la constitución de cualquier centro internacional de dirección, cuidan con celo su autonomía y son los responsables de definir la política a seguir en el país respectivo, contando con el respeto absoluto de las demás organizaciones. Sin embargo, unidos en el internacionalismo proletario, en la defensa del marxismo-leninismo, en la lucha antiimperialista y en la defensa irrestricta de la clase obrera y el pueblo trabajador, se saben parte del gran movimiento comunista internacional que continúa su camino de necesario fortalecimiento y articulación.
18-11-2011

Cuatro tesis acerca del trabajo en el capitalismo

Arturo Borra
Rebelión
La crisis del presente ha centrado la dicotomía entre trabajadores y parados; con ello, opaca la reflexión sobre las diversas formas de trabajo que se despliegan en la actualidad y su relación conflictiva con las clases propietarias. Nos encierra en la trampa de una división interna entre los que disponen de un “empleo” y los que no lo disponen, como si la inclusión en el mundo actual del trabajo fuera una garantía contra la exclusión social (1). El habitual diagnóstico de la crisis, al centrarse en esta dicotomía, culmina en una crisis de diagnóstico: impide el análisis de las múltiples variantes del trabajo subordinado.
Por el contrario, debemos enfatizar que el desempleo es una alternativa precaria entre otras. Con independencia a la multiplicidad de figuras laborales, en todos los casos están sujetas tendencialmente a un proceso de precarización radical: el “temporero”, el “periférico”, el “subcontratado”, el “irregular” y, en última instancia, también el “indefinido” son ejemplos más o menos manifiestos de esa tendencia. Podrían buscarse otras variantes, pero lo decisivo aquí es que cualquier trabajador está afectado por las crecientes restricciones salariales y el deterioro de las condiciones de trabajo en contextos de crisis sistémicas regulares. Al respecto, sigue teniendo vigencia, en esta dimensión, la formulación de los Manuscritos: “(...) el que no trabaja [en referencia al propietario] hace con el trabajador todo lo que el trabajador hace contra sí, pero nada de lo que hace contra el trabajador lo hace contra sí mismo” (Marx, 1988: 165 [2]).
En las condiciones del capitalismo actual, a mi entender, necesitamos complementar esas tesis con algunas otras, especialmente a raíz de la presión creciente que ejerce la tasa de paro (notablemente elevada) sobre las clases trabajadoras:
El terror de los trabajadores ante el creciente desempleo es funcional a la precarización laboral. Como forma disciplinaria, el paro permite el mantenimiento de los salarios en un nivel relativamente bajo y la disminución de expectativas y exigencias con respecto a las condiciones del trabajo por parte de los trabajadores. Puesto que hay “un ejército de reserva” –tal como anticipó Marx- dispuesto a sustituirnos, cualquier reivindicación de los trabajadores puede ser sancionada –y así ocurre habitualmente- mediante la amenaza, el despido o la degradación laboral. En vez de radicalizar las luchas políticas por unos derechos colectivos y, en particular, por la transformación de las relaciones de producción, dicho terror consolida la subordinación del trabajo al capital. Una de las consecuencias drásticas de este terror es la creciente adhesión al antisindicalismo, liderado por las federaciones empresariales. Al secundar este cuestionamiento, los trabajadores erosionan los órganos clásicos de representación que permiten presionar para un cambio real en las relaciones de trabajo. Aunque ciertamente hay que cambiar las prácticas sindicales dominantes, suprimir cualquier modo de organización representativo de los intereses colectivos de las clases trabajadoras, incide tanto en la destrucción de la solidaridad de clase como en el deterioro de la calidad de empleo.
El deseo del trabajador parado por recuperar el trabajo (precarizado) que percibe como parte de su humanidad afianza un sistema que deshumaniza tanto a trabajadores como a no trabajadores. Perdiendo de vista otras dimensiones de la existencia social, el trabajador parado vive como privación no poder acceder a un trabajo precario que lo priva de dimensiones centrales de sí mismo. El estigma del paro se transfiere al sujeto que (sobre)valora lo que le falta y menosprecia lo que tiene. Aunque podría con Lafargue defender el derecho a la pereza (en una sociedad técnicamente preparada para reducir la jornada laboral) consideraría esa defensa como una broma pesada: su voluntad de trabajo, incluso si ese trabajo lo priva de su tiempo de vida, parece inamovible. Que la amplia mayoría de trabajos a los que puede aspirar estén marcados por la precariedad absoluta no parece ser impedimento para este deseo autonomizado con respecto a la necesidad específica de un medio de ingreso relativamente estable. La disposición de tiempo de vida es vivido como privación: un sobrante de la ausencia de tiempo de trabajo.
En nuestra cultura del trabajo, el trabajador activo y el trabajador parado están atrapados por esta centralización del trabajo como dimensión identitaria. Así como los parados se sienten despojados de su «humanidad» ligada al trabajo, los trabajadores activos no dejan de sentirse negados a sí mismos en dicho proceso laboral. Si a uno le falta esa dimensión identitaria, al otro le sobra: no sólo hay problemas de desempleo, sino también de subempleo y sobreempleo. El desajuste entre trabajo y necesidades vitales se realiza en todos los casos. La falta o escasez de trabajo remunerado para algunos se convierte en un excedente de trabajo (no remunerado) para otros; en ambos casos, la apropiación de esa plusvalía por parte del no-trabajador se mantiene.
En el capitalismo, los trabajadores se extrañan no sólo de otros trabajadores en activo (una de las dimensiones centrales del proceso de enajenación del trabajo) sino también de los trabajadores parados, vividos como amenaza a la propia estabilidad laboral. Los “profesionales” no son más que trabajadores intelectuales extrañados de otros trabajadores (reducidos al “trabajo manual”). Aunque puedan distinguirse diversas orientaciones en la producción social, la falacia instituida fija los presuntos “trabajos manuales”, ipso facto, como no cualificados, cuando en última instancia son meramente no-calificados. Que un trabajo no cuente con aval institucional (escolar o universitario) no lo descualifica sino, a lo sumo, lo desautoriza para las clases dominantes (situándolo en lo más bajo de una jerarquía laboral). La división social y sexual del trabajo, como condición de existencia del capitalismo, produce otras divisiones diversas, además de la referida antes: entre trabajadores locales y extranjeros, entre trabajadores y trabajadoras, entre temporales e indefinidos. El desconocimiento mutuo entre trabajadores en activo y parados se transforma en un reconocimiento hacia los propietarios.
Aunque no pueden derivarse de forma mecánica otras consecuencias, no hay dudas que estas tesis contribuyen a explicar algunos fenómenos crecientes: la lucha de pobres contra pobres, el aumento de múltiples formas de discriminación laboral (xenofobia, racismo, sexismo, entre otras) y modos sintomáticos de padecer la crisis (alcoholismo, suicidios, drogadicción, violencia de género y familiar, por mencionar algunas). No cabe desconocer la incidencia de una configuración cultural hegemónica que construye modelos de identificación distantes a las clases sociales mayoritarias, exaltando las cualidades que sólo una minoría social “distinguida” posee.
Con todo, estas cuatro tesis contribuyen a interrogar lo que significa hoy el «trabajo», incluso el que presupone el trabajo del pensamiento o el pensamiento como trabajo. Si trabajar es transformar socialmente una materia específica para convertirla en producto humano, esto es, actividad productiva, el trabajo del pensamiento no es sino una actividad conceptualizadora, irreductible al cálculo o al control de informaciones. El trabajo del concepto es elaboración reflexiva y crítica de unas significaciones sociales heredadas. La escasez de un trabajo intelectual crítico-reflexivo, que permita poner en cuestión las formas actuales del trabajo en el contexto capitalista, forma parte de la dificultad para elaborar un trabajo emancipado con respecto a la subalternización de las relaciones actuales de trabajo.
En un mundo político gobernado por expertos y administradores de la crisis de oportunidades sociales, poder dar cuenta de esas formas de dominación activa, contra las que se alzan resistencias y limitaciones externas históricamente cambiantes, forma parte del trabajo imprescindible para transformar lo existente. Las profesiones -y las nuevas profesiones derivadas de las ciencias sociales en especial- tienen un lugar central en la producción y transformación de esta formación social que, bajo el nombre de “democracia”, no hace más que apelar a una “tecnocracia” inequívocamente al servicio del capital empresarial y financiero.
Es nuestra tarea desplazarnos de esos lugares a los que somos llamados a ser desde el mercado capitalista. Desplazarse es participar en una interacción que pone en cuestión la subordinación unilateral de los sujetos profesionales al mercado. Supone más bien una intervención que incluye elementos políticos subversivos. En vez de expertos del ajuste y guardianes del orden que justifican sus decisiones políticas en nombre de presuntas necesidades técnicas, hay que invertir la relación, para que cada decisión técnica sea remitida al proyecto político al que responde.
También hay que hacer responsables a los que, en nombre de la responsabilidad, hacen política irresponsable desentendiéndose de sus consecuencias sociales. El animal político puede hacer política irracional, aunque cabe también la posibilidad de una política racional aberrante. La racionalidad de la política no necesariamente es una virtud, si se considera que las grandes fábricas del genocidio se crearon sobre la base de la razón técnica. Nada garantiza la buena vida que los humanos buscamos, pero sabemos que esa vida no puede ni debe estar determinada por la apropiación radicalmente desigual de la riqueza social. El acceso colectivo a condiciones materiales y simbólicas de vida más igualitarias es nuestra política de vida.
El animal político es irreductible al animal racional. Su acción política no se desprende lógicamente de una racionalidad universal, lo que no significa que no debamos dar cuenta de forma razonable de nuestra acción. En la actualidad, gobernados por la significación de un «dominio racional del mundo» (en términos de Cornelius Castoriadis), estamos erosionando otra significación social central en la modernidad: la significación de la autonomía individual y colectiva.
En vez de menospreciar lo irracional o lo arracional -las emociones, el universo-, propio de una razón instrumental que desprecia lo que no se le reduce sin violencia, es deseable un pensamiento que se autolimite en sus pretensiones de dominio, dando lugar a un diálogo con las emociones y pasiones humanas, con las fuerzas de la naturaleza -que no son meros recursos-, con los otros humanos.
El neoliberalismo pretende reducir los conflictos sociales a una competencia interindividual por la apropiación de beneficios económicos. En vez del interés por el bien común, sostienen que sólo existen homus economicus, sujetos calculadores y egoístas que sólo aspiran a su bienestar propio. Pero estas doctrinas necesitan desconocer cualquier atisbo de otra vida posible y reducir a meras fantasías otros proyectos político-existenciales.
Nosotros, en vez de adaptarnos dócilmente a las prescripciones mercantiles y administrativas, podemos lanzar un desafío que sólo está derrotado cuando ya nadie lucha. Mientras existan sentidos comunitarios que aspiren a una sociedad igualitaria (que no uniforme), habrá cuestionamiento de esta realidad histórica, no sólo mostrando su contingencia, sino construyendo desde el presente esa sociedad deseada.

(1) La existencia de “trabajadores pobres” muestra a las claras que en las condiciones presentes el acceso al trabajo no necesariamente supone acceso a una calidad de vida satisfactoria.
(2) Marx, Karl (1988): Antología, ed. Jacobo Muñoz, Península, Barcelona. Recordemos que el “trabajo enajenado” para Marx suponía al menos cuatro aspectos interrelacionados: I) la enajenación del trabajador en su relación con el producto de su trabajo (extrañamiento del producto), II) la enajenación con respecto a la actividad misma (extrañamiento de la producción), III) la enajenación del trabajador con el ser genérico del ser humano (extrañamiento de sí como ser genérico) y IV) la enajenación del ser humano con respecto a los demás (extrañamiento del otro).

Lectura:CONTRA LA “SEGURIDAD DEMOCRATICA”: GUERRA DE TODO EL PUEBLO
Por: Germán Galvis / Guerrillero del Frente Antonio Nariño, Bloque Oriental de las FARC-EP (tomado de www.frentean.col.nu )
La batalla política de la administración actual por mostrar resultados ante los colombianos que diariamente esperan resultados positivos en sus grandes necesidades, no ha sido posible por la oligarquía criolla y parasitaria de nuestro país. Al contrario, los ciudadanos siempre encuentran ante las pantallas de sus televisores, los programas radiales, la prensa, comentarios entre vecinos, el desenmascaramiento de los paramilitares anclados en las autoridades locales, regionales y nacional. Todas estas administraciones untadas hasta los tuétanos del parauribismo dirigido desde palacio. Y, que montan y desmontan maquinarias para desviar los recursos de la nación hacia sus ambiciones personalistas. Las supuestas operaciones de exterminio lanzadas contra las FARC-EP, no ha sido más que una forma de maquillar el robo del presupuesto nacional donde solo dejan ante la mirada de los humildes colombianos las masacres de jóvenes, mendigos, labriegos, emboladores, drogadictos que recogen de campos y ciudades para asesinarlos en cualquier parte del país y posteriormente en complicidad con los grandes medios de comunicación, la iglesia y demás autoridades, pasarlos como guerrilleros muertos en combate. Ahora el Gobierno los llama falsos positivos o desapariciones extrajudiciales. Esas son las realidades del conflicto interno en Colombia por parte de las fuerzas militares.No quiere decir que no haya combates con los miembros de la fuerza paraestatal del Régimen, los hay, pero los resultados de los combates son otros donde el número de bajas de la fuerza pública es mayor a los verdaderos guerrilleros caídos en combate. No es hacer la guerra armando batallas en los escritorios como lo hacen los analistas del régimen Uribistas amparado por los medios de comunicación oligárquicos como marionetas y pescando en río revuelto de los Uribistas y demás demagogos de la política de “seguridad democrática”. Hemos sufrido bajas de importante responsabilidad en las estructuras de las FARC-EP, pero de igual manera ésta está diseñada para resolver de inmediato este tipo de incidentes, llenando los vacios con otros cuadros esclarecidos de la proyección estratégica del movimiento. Se olvidan que para la supuesta desmovilización de los paramilitares, la política que se trazaron en coordinación con Uribe, fue recoger miles de jóvenes de todos los barrios marginados de las principales ciudades del país y del campo, ofreciéndoles un sueldo de 300 mil pesos para que se colocaran los uniformes y rifles viejos e inservibles, desfilando posteriormente ante las cámaras de los medios de comunicación como los “temidos combatientes de las autodefensas” que se entregaban ante la buena fe del gobierno de Uribe, olvidándose que es éste su verdadero jefe político-militar. Y, es más sale el vicepresidente Francisco Santos en Ginebra pidiendo perdón a los familiares de los 11 jóvenes de Soacha que han sido asesinados por las fuerzas militares Uribistas. Siendo él el fundador del bloque capital de los paramilitares donde causaron por orden suya cientos de muertes, desapariciones y desplazamiento de civiles hacia otras ciudades y fuera del país. Esto es lo que Santos debería contarle a los colombianos, ese supuesto perdón es lo que el vicepresidente debería de hacerlo en Soacha ante los cientos de familiares de jóvenes asesinados, y no en Ginebra. Como también reconocer los 5.300 asesinatos de civiles que medio dan a conocer como “falsos Positivos” pasado por los medios de comunicación como guerrilleros muertos en combate y donde cínicamente los medios difunden que las autoridades tienen en investigación a 1.800 militares por este tipo de hechos y, Uribe-Santos qué? A los humildes bogotanos les corresponde la responsabilidad histórica de desenmascarar todo tipo de atropellos e inmoralidades de las autoridades capitalinas contra la buena fe de los ciudadanos. Un alto porcentaje de los que viven en las urbes de las ciudades es gente que fueron desplazados por la política paramilitar del régimen con el propósito de robarse como ha sido costumbre de ellos, sus tierras, ganado, gallinas, marranos, bestias, casa, almacenes, producciones agrícolas...Ahora que los concentraron en las ciudades hacen con sus hijos y familiares carne de cañón. Unos los convierten en víctimas de los falsos positivos, a otros los reclutan para engrosar las inmorales filas del ejército, a otros para los paramilitares, otro tanto para la prostitución infantil, mendigos, drogadictos, atracadores de sus mismos vecinos y donde solo les queda como forma de vivir los andenes, debajo de los puentes, los basureros, sitios llenos de lagunas y márgenes de los ríos Tunjuelito y Bogotá. Donde las víctimas pierden todo valor moral y ético de la personalidad, donde se pierde la iniciativa de unirse en una sola voluntad y pedir las reivindicaciones sociales. A todas estas personas que en su época fueron importantes para la política del estado dejándose engañar con falsas promesas con el solo objetivo de que dieran el voto por ellos. Las FARC ponen bajo la voluntad de todo el pueblo sus diferentes estructuras como el Movimiento Bolivariano por la Nueva Colombia, las Milicias Bolivarianas, las Milicias Populares, el Partido Comunista Colombiano Clandestino, los Frentes de las FARC y compañías y columnas disponibles, es acá donde está la verdadera Colombia. Y siempre lucha-mos por La Nueva Colombia, la Patria Grande y el Socialismo. Los problemas sociales, políticos, culturales, económicos, de salud, educación, vivienda, transporte, energía, agua potable, etc. Que viven la mayoría de bogotanos, es un problema de la política estatal y capitalina y no se puede resolver con los comedores comunitarios porque Colombia es un país que posee muchas riquezas naturales, tiene las mejores tierras para la producción agropecuaria, 3 cordilleras donde se desprende una gran riqueza hidrográfica de sur América, páramos como el de Sumapaz que ahora está siendo negociado por el Estado y una transnacional española que lo va a comprar para en el futuro privatizar todos sus cauces, proyecto que viene siendo adelantado por la Corporación Autónoma Regional (CAR), que supuestamente protege el medio ambiente y los parques regionales de Cundinamarca pero en beneficio de las transnacionales. Todo ciudadano que resida en Bogotá debe llenarse de valor patrio, colaborar con todas las personas de bien, contribuir en el secreto de miembros del partido, las milicias y guerrilleros. Ayudar a movilizarlo ocultándolo de toda persona malintencionada y engañada por el Estado, informándole al guerrillero y miliciano los que integran las redes de sapos para darlos de baja, ajusticiar a los que han desertado de las filas de FARC y se encuentran en los sitios de reinsertados, perseverar en el secreto, ayudarle a mover el mate-rial de guerra que se emplea contra la fuerza pública, empresas ligadas a la explotación de la mano de obra de los pobres y financiadores de la guerra sucia. Esas tienen que ser las verdaderas intenciones de los capitalinos.

domingo, 13 de noviembre de 2011

INFORME PERFIL DEL ADULTO MAYOR EN PERÚ

FUENTE:
PERFIL DEL ADULTO MAYOR PERÚ – INTRA II. 2004 ... de 1999 aumentó, debido a la crisis económica ... de información respecto a la situación del adulto mayor en otros ...
PRESENTACIÓN
El Programa de Salud y Envejecimiento de la Organización Mundial de la Salud, preocupado por la rapidez del envejecimiento poblacional de los países en desarrollo y por los cambios epidemiológicos que se reflejan en el aumento progresivo de enfermedades crónicas y discapacidad, consideró necesario investigar las condiciones de salud de la población adulta mayor en este tipo de países. Para ello, diseñó el estudio “Desarrollando Respuestas Integradas de los Sistemas de Cuidados de la Salud para una Población en Rápido Envejecimiento” (Estudio Intra I), que fue realizado en cinco países, Botswana, Chile, Jamaica, Líbano y Tailandia, durante los años 2002 y 2003. Como resultado de este estudio se elaboró, en cada uno de ellos, un Perfil de Envejecimiento Poblacional y se recolectó información sobre la conducta, conocimientos y actitudes de los proveedores de cuidados de la salud primaria hacia las actividades de prevención y promoción de la salud, dirigidas a las personas mayores.

PARA SEGUIR LEYENDO....

http://www.bing.com/search?q=SITUACION+ECON%C3%93MICA+DEL+ADULTO+MAYOR+EN+PER%C3%9A&src=IE-SearchBox&Form=IE8SRC · Página en caché

domingo, 6 de noviembre de 2011

COMUNICADO DEL SUTEP REGIONAL DEL CUSCO

SRES PERIODISTAS Y DIRIGENTES DE BASES DISTRITALES, PROVINCIALES, REGIONAL Y NACIONAL:


PREVIO UN SALUDO CORDIAL, PARA COMUNICARLES LO SIGUIENTE:
A.
HASTA ESTE MOMENTO NO HAY AUN SOLUCIÓN CONCRETA DE LOS 04 PUNTOS DE LA PLATAFORMA DE LUCHA PRESENTADA AL GOBIERNO DE LA REGIÓN DEL CUSCO.

B. EL DECRETO REGIONAL 04-2011/GRC/PR, QUE EMITE EL GOBIERNO REGIONAL CUSCO CON FECHA 24/OCTUBRE/2011, NO SOLUCIONA EL PROBLEMA DE LA DEMANDA MAGISTERIAL DE LA REGIÓN DEL CUSCO.

C. EL CONTENIDO DE ELLO ES LA TRANSCRIPCIÓN DEL DR. Nº 02 Y 04-2009/GRC/PR Y DE LA RESOLUCIÓN DE LA SALA PLENA Nº 01-2011-SERVIR/TSC, QUE YA RESTITUYO A NIVEL REGIONAL Y NACIONAL.


LOS 4 PUNTOS DE LA PLATAFORMA DE LUCHA:

1. EL PAGO DE LA ASIGNACIÓN POR CUMPLIR 20, 25 Y 30 AÑOS DE SERVIOS Y EL SUBSIDIO DE LUTO Y SEPELIO, LO QUE EXIGIMOS ES QUE SE DE EL CRONOGRAMA DE PAGOS Y LA AUTORIZACIÓN DEL DINERO POR EL MINISTERIO DE ECONOMÍA Y FINANZAS EL PRESUPUESTO DEL CANO Y SOBRE CANON PARA PAGAR A TODOS LOS 2365 DOCENTES DE LA REGIÓN, ESTO PUES HASTA LA FECHA NO SE DA,


2. LUEGO EXIGIMOS LA RESTITUCIÓN O CONTINUIDAD DEL PAGO DEL 30% POR PREPARACIÓN DE CLASES Y EVALUACIÓN A PARTIR DE LA FECHA PARA ADELANTE DONDE EL CALCULO SEA EN BASE A LA REMUNERACIÓN INTEGRA DE HABER MENSUAL DEL DOCENTE, ESTE ES EL TEMA QUE NOS UNE A TODOS LOS MAESTROS POR SER UN DERECHO SEGUN EL ART. 48º DE LA LEY DEL PROFESORADO 24029 Y 25212, PARA ELLO ESTAMOS SOLICITANDO LA DACION DE UN DECRETO REGIONAL, ESTO TAMPOCO HA SIDO SOLUCIONADO,


3. LUEGO EL CONCURSO PARA LOS CARGOS DE DIRECTOR REGIONAL DE EDUCACIÓN Y UGELs, DE ACUERDO A LA LEY CON LOS REQUISITOS QUE CORRESPONDE, PARA ELLO REQUERIMOS QUE EL PRESIDENTE REGIONAL PRECISE EL CRONOGRAMA DE CONVOCATORIA ESTE AÑO Y NO AL OTRO AÑO


4. Y EL OTRO TEMA ES LA REASIGNACION DOCENTE 2011 HASTA LA FECHA NO SE HA PROCESADO ESPECIALMENTE EN LA UGEL CUSCO DONDE SE PRESENTAN MILES DE MAESTROS CADA AÑO, PARA ELLO EXIGIMOS QUE SE PRECISE LA FECHA EXACTA Y EN ESTOS DÍAS Y NO A FIN DE AÑO QUE QUIEREN HACER LAS AUTORIDADES EDUCATIVAS COMO UN ACTO DE BURLA, TODO ELLO EL PRESIDENTE REGIONAL ARQ. JORGE ACURIO EN EL DIALOGO DIRECTO CON TODOS LOS MAESTROS EL DÍA 17/OCTUBRE/2011, HA PROMETIDO SOLUCIONAR DEBIENDO EMITIR UNA RESOLUCIÓN REGIONAL, PERO TAL CASO HASTA ESTE MOMENTO NO SE HA DADO,


CONTINUACIÓN DE LA HUELGA INDEFINIDA.

POR ELLO CONTINUAMOS CON LA HUELGA INDEFINIDA, ESPERAMOS QUE EL DÍA LUNES QUE ES LA SEGUNDA REUNIÓN DE LA COMISIÓN BIPARTITA EN LA MESA DE TRABAJO SOLUCIONEN Y PODEMOS LEVANTAR ORGANICAMENTE LA HUELGA INDEFINIDA, DE NO SER SOLUCIONADO EL DÍA MARTES EL MAGISTERIO CUSQUEÑO ASUMIRÁ UNA MEDIDA RADICAL DE INGRESAR A UNA HUELGA DE HAMBRE HASTA LA SOLUCIÓN FINAL, ESO FUE EL ACUERDO DE LOS MAESTROS EN LA ASAMBLEA GENERAL DEL DÍA SABADO 05/NOVIEMBRE/2011, YA QUE HASTA EL MOMENTO NO EXISTE UN DOCUMENTO FORMAL DE COMPROMISO POR PARTE DEL GOBIERNO REGIONAL, EN TAL SENTIDO EL DÍA LUNES 07/NOVIEMBRE/2011 TODOS LOS MAESTROS NOS CONCENTRAREMOS EN LA PLAZA TUPAC AMARU A LAS 14.00 HORAS PARA LUEGO MOVILIZARNOS HACIA EL GOBIERNO REGIONAL DEL CUSCO Y A LAS 16.00 HORAS.


SOBRE LA MESA DE TRABAJO

LA COMISIÓN DE LA MESA DE TRABAJO CONTINUARA CON TRABAJANDO, DESPUÉS DE ELLO A LAS 19.00 HORAS HABRÁ UNA REUNIÓN DE DELEGADOS EN EL LOCAL DEL SUTEP REGIONAL CUSCO PARA EVALUAR Y VER SOBRE LAS FUTURAS ACCIONES DE LUCHA A ASUMIR, MIENTRAS NINGUNA BASE PUEDE SUSPENDER O LEVANTAR LA HUELGA POR SU CUENTA.
CUSCO, 06/NOVIEMBRE/2011.

LIC. WILBER LOAIZA ESPINOZA.
PRESIDENTE DEL COMITE DE LUCHA.
SUTEP REGIONAL CUSCO.

EL SOCIALISMO SIGUE SIENDO LA BANDERA DE NUESTRO TIEMPO

MENSAJE CON OCASIÓN DEL 83 ANIVERSARIO DEL PARTIDO

Estimados amigos y camaradas:
Permítanme expresarles el agradecimiento por vuestra presencia en este acto conmemorativo de la fundación del Partido. Nos sentimos contentos y reconocidos, alentados por este estímulo moral.

Con independencia del proceso siempre complejo, muchas veces conflictivo y acaso errático en el rumbo seguido por el Partido Comunista en ciertos momentos de su prolongada existencia, como organización política el Partido Comunista y el tronco común del cual proviene, tienen un lugar en la historia de la nación como defensor de los intereses de los trabajadores, luchador por la independencia y la soberanía nacionales, impulsor de las batallas por el desarrollo y la justicia social, persistente promotor de la democracia y de la integración. Pero, sobre todo, desde su fundación, un compromiso irrenunciable en la lucha por el socialismo, su razón de ser y objetivo estratégico a conquistar.
Luego del derrumbe de la exURSS se extendió el viento oscuro de la negación del socialismo como aspiración transformadora de los trabajadores y de los pueblos del mundo. Se difundió la idea del fin de las ideologías con el propósito de eternizar la ideología liberal, en particular su expresión extrema, el neoliberalismo, como la ideología única y universal, y el capitalismo como la cúspide del desarrollo humano, inmutable en el tiempo y obligatorio para todos los países del planeta. Llevados por la vorágine de una victoria que creían definitiva, con el encumbramiento de los Estados Unidos como el país hegemónico del siglo XXI, decretaron el Estado mínimo y todo el poder al mercado; declararon obsoleta la soberanía de los Estados y naciones, excepto la suya; consagraron el dominio de los monopolios y las multinacionales, y ofrecieron un mundo de libertad y progreso mientras despachaban a los confines del planeta sus flotas, aviones de guerra y cohetes para imponer el orden que necesitaban para garantizar su hegemonía.
Han transcurrido apenas dos décadas y lo que se ve es la humillación de la potencia más poderosa de todos los tiempos en Irak y Afganistán; el colapso del neoliberalismo y su parafernalia ideológica y económica herida gravemente con la crisis que se inicia el 2008 y la inminente recesión que se anuncia para el 2012, cuyos mástiles ya son perceptibles en el horizonte.
El predominio del capital financiero, sin regulaciones que impidan el desmadre de fondos especulativos de toda especie que, como una caja de mago, permite que el dinero genere más dinero sin ingresar en la esfera productiva; el estímulo a un consumismo desbocado más allá de la capacidad de compra de las personas recurriendo al crédito barato; la absorción del ahorro mundial por los Estados Unidos, cuya deuda pública se incrementa sin cesar superando en estos momentos los 15 millones de millones de dólares, y a escala mundial por encima de los 62 millones de millones de dólares, casi el equivalente al PIB mundial que está por los 70 millones de millones de dólares, explican parte de la crisis actual.
La paradoja es que cuanto más se predica acerca de las bondades reguladoras del mercado, de la mano invisible a que se refirió Adam Smith, los bancos y todo el sistema financiero, las grandes empresas industriales, necesitan del salvataje del Estado, por tanto, del ahorro nacional para impedir la bancarrota y seguir acumulando enormes fortunas, esquilmando a los ciudadanos. La consecuencia de ello es que los Estados del capitalismo central cargan a su cuenta enormes deudas que trasladan a los trabajadores. Los despidos y la desocupación en masa, la reducción de los salarios, la pérdida de otros derechos adquiridos mediantes luchas, constituyen parte de su respuesta para “salir de la crisis”.
No nos encontramos frente a una crisis más, frecuente en el sistema capitalista. En el trasfondo lo que se abre paso es una crisis de la civilización capitalista. Podemos afirmar que el sistema mismo, que carga en sus espaldas medio milenio, avanza hacia el colapso. Porque la crisis no es sólo económica y financiera, es también ambiental, energética, alimentaria, moral. Es la crisis de un sistema y una civilización que mercantiliza al ser humano, construye un ideal de vida insostenible, degrada el entorno ambiental a escala planetaria, de consecuencias que ponen en riesgo la misma sobrevivencia humana. Si en el pasado podían recurrir a la guerra para resolver el control de los mercados y salir de las crisis de sobreproducción, los nuevos tiempos tornan cada vez difícil una salida de ese tipo, pues sus consecuencias serían inmensamente más devastadoras que la Primera y la Segunda Guerra Mundial del siglo pasado.
Cuánta razón le asistía al presidente Roosevelt, insospechable de comunismo, quien gobernó Estados Unidos por tres períodos consecutivos, cuando en vísperas de las elecciones de 1936 declaró: “Ahora sabemos que un gobierno en manos del capital organizado es igual de peligroso que un gobierno en manos del crimen organizado”. Porque el poder real ya no reside ahora en lo gobiernos, sino en los poderes fácticos, es decir económico y financiero articulado globalmente.
Nos encontramos, pues, en una encrucijada histórica, acaso la más decisiva y riesgosa que le ha tocado vivir a la humanidad: está en juego la misma sobrevivencia de la especie amenazada por la acción irresponsable de los mismos seres humanos, por un sistema basado en la ganancia, en el mercado, en la explotación y en la irracionalidad, de suyo insostenibles.
Afortunadamente, asistimos a cambios importantes en la correlación de fuerzas, echando por la borda el hegemonismo norteamericano. El impetuoso crecimiento económico a la par que el posicionamiento en el escenario mundial de los países emergentes, con China, India, Rusia, Brasil, a la cabeza, está modificando el cuadro de la política mundial y dando paso del unilateralismo al multilateralismo. Esperamos todos que sea para bien. El papel de China socialista en el escenario mundial es cada vez relevante, y será aún más en el futuro.
Esta es una tendencia indetenible. La lucha por el desarrollo, el progreso común, por la paz y la estabilidad en el mundo, es una causa que apoyamos. Los pueblos y naciones se oponen cada vez más al intervencionismo, a la arrogancia y a la política de guerra del imperialismo, al saqueo de sus recursos del que siempre fueron víctimas.
Por eso saludamos con íntima satisfacción el movimiento de los indignados que se movilizan y denuncian en Europa, Estados Unidos, África, América Latina. Millones de hombre y mujeres, espoleados por las consecuencias de la crisis, por la arbitrariedad del gran capital y sus corifeos, por la precariedad de la democracia occidental, toman las calles. Nos alienta la incorporación masiva de la juventud en estas luchas. Vemos con entusiasmo el accionar de los jóvenes estudiantes de la patria de Salvador Allende y Pablo Neruda, la batalla por una educación de calidad para todos los chilenos, bajo el liderazgo de Camila Vallejo. Son los abanderados de la resistencia a una situación que debe ser enfrentada, detenida y derrotada. Ya no es posible callar. El conformismo y la pasividad sólo llevan a la ruina y a la derrota.
Sin embargo, falta claridad de la alternativa seguir. No es suficiente la condena ni la indignación, ni siquiera el heroísmo y la entrega. Hace falta encontrar la respuesta, el camino por donde tendremos que transitar, el programa que sirva de brújula, la unidad a forjar, pero también la organización a construir. Porque los grandes problemas de los pueblos se resuelven desde posiciones de fuerza, con correlaciones reales, contando con direcciones políticas estructuradas, expertas, disciplinadas, indispensable para confrontar con los poderes de facto, con los defensores de un orden establecido que nunca tolerarán sea cambiado. Es decir, con organizaciones políticas capaces de darle direccionalidad y organicidad a la indignación.
Mariátegui planteó, con suma claridad, respondiendo a las exigencias de su tiempo: “Capitalismo o socialismo”. Este es el problema de nuestro tiempo”. Casi un siglo después el mundo ha cambiado en muchos aspectos. La población del planeta se ha cuadruplicado. Los avances de la ciencia, la tecnología y el conocimiento son gigantescos. Otro es el mapa político y geoestratégico. La Unión Soviética, cuna del socialismo, ha desaparecido. El sistema colonial del imperialismo, por acción de los pueblos víctimas de él, casi está desaparecido, siendo sustituido por el neocolonialismo. Y, sin embargo, los problemas fundamentales de entonces permanecen sin solución, incluso están agravados. Todo ello muestra los límites del capitalismo.
En este cuadro de conjunto, en el marco nacional y también planetario, el socialismo sigue siendo la bandera de nuestro tiempo. No está terminado ni mucho menos.
Anthony Giddens, teórico de la Tercera Vía, para explicar la capitulación de la Social Democracia Inglesa y su paso al neoliberalismo, se preguntaba: “¿Tiene todavía algún sentido estar a la izquierda ahora que el comunismo se ha desplomado completamente en Occidente…?.¿Qué orientación debería tener en un mundo en que no hay alternativa al capitalismo? El Colapso de la exURSS y de Europa del Este no significa el fin del socialismo, sino de una manera distorsionada de entenderlo, además de errores de sus conductores; explica también la obstinada confrontación del capitalismo para impedir que se asentara y desarrollara.
El socialismo que buscamos hacer realidad habrá de ser siempre creación heroica de los pueblos, como bien apuntó el Amauta. Los caminos, las formas, los procesos pueden ser varios, de acuerdo con cada realidad y circunstancia histórica, pero el ideal será siempre el mismo y los mismos los protagonistas: los trabajadores, los pueblos de cada país y sociedad.
En este drama histórico no es posible una posición intermedia. Lo expresó bien el Amauta cuando sostuvo: “En la lucha entre dos sistemas, entre dos ideas, no se nos ocurre ser espectadores ni inventar un tercer camino…En nuestra bandera, inscribimos ésta sola, sencilla y grande palabra: Socialismo”.
Esta es una posición en la que persistiremos siempre. Renunciar a ella significaría dejar de lado la esencia misma y la justificación del Partido. Este es el legado más hermoso, profundo y perdurable del Amauta, que ningún comunista traicionará jamás.

Estimado amigos y camaradas:
Con la victoria del ahora presidente de la República Ollanta Humala, en las elecciones de junio pasado, y con la instalación del gobierno de “concertación nacional” qué él preside, se inicia un nuevo capítulo de la política peruana. Por primera vez, mediante un proceso electoral, se instala un gobierno nacionalista y progresista, como promesa de cambios que la mayoría ciudadana espera para el país y en beneficio de las mayorías siempre excluidas.
Los representantes del neoliberalismo, con un costo muy alto para el pueblo trabajador, impusieron un modelo que permitió crecimiento, facilitado por la expansión de la economía en el Oriente, pero no trajo desarrollo, ni justicia ni bases para la modernización del aparato productivo ni la expansión del mercado nacional. Confinaron al Perú a la condición de país productor de materias primas en un mundo donde lo sustantivo es la educación, el conocimiento, la ciencia y la tecnología. Abrieron las puertas a la inversión extranjera para permitir el saqueo de sus recursos naturales, pero no para promover la industria, potenciar el mercado nacional ni modernizar el Estado. Lo que se abrió paso es la concentración de la riqueza, por un lado, y la continuidad de la exclusión social, económica, étnica y cultural, por el otro. De modo tal que se ha ampliado el foso que separa a los ricos de los pobres.
El Perú necesita abrirse al mundo. Las sociedades autárquicas son inconcebibles en el siglo XXI. Pero debe hacerlo desde de su realidad, contando con proyecto y estrategia propios. Sin peruanizar al Perú, sin conquistar su plena capacidad de independencia y soberanía, sin afirmar su identidad y personalidad, continuaremos marchando al ritmo de tambores ajenos. La “promesa de la vida peruana” que propuso Basadre, el Perú de “todas las sangres” que soñó Arguedas, siguen siendo tareas a resolver.
De esa exigencia dimana el llamamiento del Partido, tomando en cuenta la realidad actual, de abrir un nuevo curso para el país y de construir la gran unidad para el gran cambio democrático y patriótico. La República fundada con la Independencia está agotada. Hay necesidad de construir las bases de una nueva república, de sustituir la improvisación y la anarquía con un proyecto de desarrollo que permita dar respuesta a los retos del siglo XXI, de contar con una nueva Carta constitucional consensual, surgida democráticamente, que garantice la institucionalidad hasta ahora no alcanzada.
El gobierno del presidente Ollanta Humala se encuentra ante el reto de iniciar este tránsito. Difícil y complejo desde luego, con fuerzas conservadoras al frente que no están dispuestas a aceptar cambios mínimos, pero posible y necesario. Ninguna gran obra se conquista sin esfuerzo, sin su dosis de sabiduría, de coraje y determinación.
Por eso la batalla por la unidad más amplia es una exigencia concreta. Los pueblos que construyen no esperan liberadores, sino que ellos mismos se aprestan a unirse, organizarse y luchar para liberarse. Requieren conducción que despierte sus energías dormidas y que una sus fuerzas dispersas, no el paternalismo caudillista o la disposición para agachar la cabeza.
El Partido ha reiterado su respaldo a la gestión del gobierno en todo aquello que tiene que ver con el cumplimiento de sus compromisos electorales favorables al pueblo peruano. Un gobierno que ofrece cambios y una gestión con sustento ético, se encuentra obligado a refrendarlos en los hechos. Lo que está a la orden del día son reformas fundamentales, pero reformas que, de llevarse consecuentemente, pueden abrir nuevas vías. Su resultado lo decidirá, además de la determinación del gobernante, la inserción de las mayorías en ese proceso y la correlación de fuerzas que se construya.
Respaldo consecuente de nuestro lado, no atado a compromisos particulares desde el momento en que no somos parte del gobierno, no significa seguidismo ni sujeción a mandato alguno. Defendemos nuestra autonomía y la independencia política del Partido, persistiremos en una actitud propositiva sin reclamo de ventaja alguna.
Con esta visión participaremos activamente en la jornada del 12 de octubre, siempre junto al pueblo.
La batalla por la unidad seguirá siendo una preocupación fundamental del Partido. El que no se haya logrado contar con un frente único articulado nacionalmente, hasta el momento, no nos desanima. De lo que sí estamos convencidos es de que sin unidad y sin un rumbo claro y métodos adecuados, se abrirá paso la derrota, y con ella nuevas frustraciones para el pueblo. Sabemos por experiencia que ella es difícil, sobre todo en una sociedad donde la exclusión, el sectarismo y la estrechez de miras tienen raíces profundas en la cultura política nacional, de la que tampoco nos libramos del todo. Tarea más difícil en una situación de crisis de los partidos políticos, de fragmentación social, de incertidumbre e incredulidad, y por eso mismo de insuficiente representación política.
Tenemos la decisión de avanzar a construir la unidad prestando más atención al trabajo desde las bases hacia arriba, fortaleciendo nuestros vínculos con las masas populares, construyendo fuerzas políticas, sociales y sindicales con representación real, generando nuevos liderazgos experimentados y capaces, ampliando vínculos con todos los sectores de izquierda, nacionalistas y progresistas. El estilo burocrático de unidad ha dado reiteradas muestras de inoperancia. Esa es la razón por la que impulsaremos la construcción de frentes políticos regionales, el fortalecimiento de los frentes populares, la unidad sindical basada en métodos democráticos y de representatividad. Lo expresado no invalida las coordinaciones por arriba, los acuerdos para acciones conjuntas. Todo ello cabe en la política de gran unidad para el gran cambio, desterrando formas de sectarismo aún subsistentes.
Abordar los grandes problemas del Perú exige, además de amplitud de miras, visión estratégica, capacidad de sumar fuerzas, flexibilidad para adecuarse a las condiciones cambiantes, pero sobre todo honestidad, claridad de rumbo, compromiso con el proyecto en lugar de ventajismos pragmáticos.

Estimados amigos y camaradas:
No podemos dejar de insistir en la enorme importancia que tiene, sobre todo hoy cuando pareciera que la disgregación fascina, o la ilusión por el momento deslumbra, o la acción anárquica y personal, entusiasma; la labor paciente, abnegada, disciplinada, ajena a relumbrones y aplausos, muchas veces no entendida, de la construcción del partido como un todo organizado.
Nos hemos propuesto construir un partido revolucionario de masas, con presencia e influencia real en todas las regiones de la patria, con contingentes de cuadros a la altura del reto, con vigencia política real, con capacidad de influir en el escenario político, que se prepara en todos los aspectos para gobernar.
La experiencia nos indica que es una tarea difícil pero no imposible. Las condiciones se presentan favorables. La oportunidad está cerca de nuestras manos. Importantes sectores de la población sienten su necesidad. ¿Qué falta? La disposición de los hombres y mujeres comprometidos con los grandes cambios que la sociedad demanda, con el socialismo, para acometer esta tarea con entusiasmo, con pasión, con la certeza de convertir este sueño en realidad.
Cuando surgimos como Partido Comunista del Perú-Patria Roja, en 1969 y en los años subsiguientes, a falta de experiencia, de conocimientos teóricos y de la realidad peruana, que los fuimos adquiriendo con el tiempo, nos caracterizó la determinación de llevar a cabo las tareas trazadas por encima de cualquier dificultad, el orgullo de nuestra pertenencia comunista, la capacidad de actuar con iniciativa y disciplina, el convencimiento de que todo era posible si nos apoyábamos en las masas movilizadas. ¡Todo con las masas, nada sin ellas! fue la consigna salvadora.
Recuperemos y enriquezcamos esa tradición. La necesitamos hoy con más urgencia que nunca. Que no nos distraigan subjetividades y desconfianzas entre nosotros, que no nos envenenen los remantes del sectarismo y el burocratismo, que no nos gane la desidia y la pereza mental. No se puede ser comunista en la ignorancia o en la mediocridad. No se puede luchar por el socialismo cediendo terreno a la pusilanimidad, a la rutina o al conformismo. Atrevámonos a mirar adelante, a descubrir lo nuevo, a responder a los retos de los tiempos. Mente abierta, corazón ardiente, entusiasmo a borbotones es lo que necesitamos.
Recuperemos la grandeza y la belleza de la política revolucionaria, que se nutre de la cultura, que marcha de la mano con la ética y la honestidad, que reclama reconocer, como Mariátegui, siguiendo a los griegos: “todo lo humano es nuestro”. Entendamos la política como lo entendía el Amauta: “La política se ennoblece, se dignifica, se eleva cuando es revolucionaria” y “será para los pobres no sólo la conquista del pan, sino también la conquista de la belleza, del arte, del pensamiento y de todas las complacencias del espíritu”. Así es como entendemos o deberíamos entender la política revolucionaria, socialista, la lucha persistente por acercarnos al gobierno y al Poder para conducir los destinos de la nación.
El Perú necesita contar con partidos que se sostienen en programas sólidos, en principios firmes, en organizaciones fuertes, con influencia real en el pueblo y con liderazgos esclarecidos y experimentados. El reciente plan quinquenal trazado por el Comité Central debe convertirse en la herramienta fundamental para alcanzar este objetivo.
Para ello requerimos recuperar presencia en el seno del proletariado, incrementar nuestra influencia entre los campesinos, ganar espacio en la población indígena y nativa, atraer a la intelectualidad creando los espacios necesarios para el desarrollo de sus potencialidades, incorporar con mayor decisión a la mujer en todas las esferas de la actividad partidaria y, en especial, mirar a la juventud, entenderla como la reserva fundamental del Partido y como los líderes futuros que continuarán a las generaciones mayores.
Un saludo especial a la Juventud Comunista con el compromiso de mayor respaldo del Partido a sus iniciativas y tareas, pero sobre todo a su formación intelectual, política y moral. Ustedes representan el futuro del Partido, y hoy mismo son la promesa del gran partido que juntos construiremos para bien de los trabajadores, del pueblo, de la patria y el socialismo.
Conmemoramos un año más de la caída en combate del Comandante Che Guevara pero también de la inmolación de Miguel Grau. Cada uno en su momento y lugar, simbolizan los mejores valores de la condición humana: integridad, amor a la patria, honestidad, desprendimiento. Nuestro homenaje al Che, el revolucionario por excelencia, el teórico creador, el ejemplo de unidad entre la palabra y la acción y de moral intachable; a Miguel Grau, el patriota y demócrata a carta cabal, de profundos sentimiento humanos y elevada caballerosidad.
No Podemos dejar de saludar a la revolución y al pueblo cubanos, a su líder histórico comandante Fidel Castro, al presidente Raúl Castro, y expresar nuestra solidaridad militante con los 5 héroes injustamente detenidos en cárceles norteamericanas. Saludamos y expresamos la solidaridad del partido con el pueblo palestino, a la solicitud de reconocimiento de Palestina como estado miembro de pleno derecha en Naciones Unidas. Saludamos y expresamos nuestra solidaridad al pueblo de la República Popular Democrática de Corea, a su gobierno, a su derecho a la reunificación de su patria. Nuestro saludo y solidaridad con el pueblo chino que construye el socialismo de acuerdo con las peculiaridades de su nación. Nuestro saludo y solidaridad con el pueblo venezolano y su gobierno liderado por el presidente Hugo Chávez, con los mejores deseos de la recuperación de su salud; con el pueblo boliviano y su gobierno liderado por el presidente Evo Morales.
Un saludo especial al presidente Ollanta Humala con los mejores deseos de éxito y victoria en la lucha por la “gran transformación” ofrecida.

¡QUEREMOS PATRIA PARA TODOS!
¡QUEREMOS DEMOCRACIA, JUSTICIA SOCIAL, IGUALDAD DE DERECHOS Y OPORTUNIDADES PARA TODOS!
¡VIVA EL PARTIDO COMUNISTA DEL PERÚ – PATRIA ROJA!
¡VIVA EL SOCIALISMO!
¡VIVA EL PUEBLO PERUANO!
COMITÉ CENTRAL

PROGRAMA DEMOCRACIA Y TRANSFORMACI´´ON GLOBAL-PDTG

PRONUNCIAMIENTO
En el marco del Foro Público Pistas para la transformación en el Perú: Miradas y perspectivas desde los movimientos sociales se inició una reflexión necesaria sobre las demandas y roles de los movimientos sociales en el nuevo escenario para el Perú que planteaba el cambio de gobierno. En esa oportunidad se dieron cita dirigentes de organizaciones sociales, representantes de movimientos sociales, intelectuales, educadores y artistas críticos para desde sus perspectivas abordar este debate.
En un nivel más específico en el "III Taller de Diálogo de Saberes y Movimientos: pistas para la transformación desde los Movimientos", que se realizó el 22 y 23 de julio en la ciudad de Lima, inmediatamente luego del foro se desarrolló un proceso que en días posteriores permitió consolidar el documento que a continuación publicamos y que se pone a consíderación de todos y todas.

POR UN PERÚ NUEVO:PISTAS PARA LA GRAN TRANSFORMACIÓN
Dirigentes/as y líderes(as) sociales, activistas, educadores/as, investigadores/as, artistas y comunicadores/as provenientes de diversos colectivos ciudadanos y movimientos sociales, afirmamos nuestro compromiso con la construcción de un Estado, una economía y una sociedad distintos en el Perú, en los cuales la vida, la dignidad, la igualdad, la justicia, la democracia y la diversidad de nuestra cultura y población sean el eje del quehacer nacional.
Para ello es indispensable luchar y trabajar por otro modelo de desarrollo que parta de afirmar la justicia social, la equidad de género y la interculturalidad, así como garantizar el respeto a la naturaleza y a los derechos de las generaciones futuras. Así mismo, empeñarse en construir otro tipo de Estado, realmente laico, plurinacional, intercultural, participativo, descentralizado e independiente de los poderes fácticos.
Una transformación sustancial como la que proponemos implica especialmente poner fin al régimen de la Constitución de 1993, que fue resultado del autogolpe dictatorial fujimorista y que en las recientes elecciones generales volvió a recibir el rechazo de amplios sectores del espectro político peruano.
Conscientes de las limitaciones del nuevo gobierno dirigido por Ollanta Humala y Gana Perú para responder a las demandas de cambio profundo, proponemos al país una agenda de primeros pasos que consideramos indispensables y que servirán para abrir la vía hacia la gran transformación que todos/as aspiramos:

Reforma integral del Estado
Desde el “retorno a la democracia” varios caminos de reforma del Estado han quedado truncos, y requieren de atención inmediata, incluyendo:


i) una reforma tributaria que promueva la redistribución y justicia social;
ii) una reforma judicial democrática que implique la elección popular de los jueces, fortalecimiento de la autonomía y transparencia del poder judicial;
iii) la descentralización política que dé competencias reales y los recursos necesarios para desempeñarlas a los gobiernos locales y regionales y facilite su accionar y políticas;
iv) la reorganización de los ministerios del Ambiente y de Energía y Minas, que promueva la instalación de un ministerio del Medio Ambiente autónomo y con facultades reales y transversales para regular, supervisar y sancionar a proyectos económicos por sus daños a la naturaleza y que transforme el ministerio de Energía y Minas en uno que promueva y fiscalice actividades empresariales social y ambientalmente responsables;
v) la construcción de espacios efectivos de vigilancia y participación ciudadana dentro de un modelo de gestión pública de lo social que los contenga;
vi) la aprobación de la ley de revocatoria de congresistas;
vii) La reorganización de los programas sociales, para poner fin a las prácticas clientelistas y de corrupción, de modo que sirvan realmente al objetivo de ayudar a los más pobres sin desperdiciar recursos.
viii) la implementación de la interculturalidad y la equidad de género en todas las operaciones, procedimientos y programas estatales;
ix) fortalecimiento de las rectorías para la igualdad;

Ordenamiento territorial participativo y vinculante
Para poner fin a los conflictos sociales, parar la explotación excesiva de los bienes comunes y frenar la violación de los derechos de los pueblos indígenas y de las poblaciones afectadas por las industrias extractivas, es urgente iniciar un proceso de ordenamiento territorial, participativo, vinculante y descentralizado, que promueva la producción agropecuaria familiar y comunal, aliente el desarrollo de los mercados locales, asegure la protección del agua como bien común y respete los derechos de las comunidades y las poblaciones rurales. En lo inmediato esto implica:

i) Una moratoria de las concesiones mineras, petroleras, de agroindustria, y de megaproyectos de infraestructura, hasta que se asegure el marco legal y de ordenamiento territorial requerido para su entrega.
ii) La aprobación de la ley de consulta previa a los pueblos indígenas sin las observaciones planteadas por el Gobierno aprista y su reglamentación en todos los sectores productivos, garantizando la participación plena de las mujeres.

No más discriminación por raza, cultura, género, religión, espiritualidad u orientación sexual
Perú sigue siendo un país donde las discriminaciones son pan de cada día en la sociedad, debido en gran parte a la inacción de los órganos de decisión política, judicial y legislativa que no promueven el derecho a una vida plena y digna para todas y todos los ciudadanos del país. Por lo tanto, son necesarios avances significativos del Gobierno entrante en los siguientes terrenos:

i) Aprobación de la ley contra los crímenes de odio.
ii) Implementación de la ley de igualdad de oportunidades fortaleciendo el reconocimiento a la diversidad de las mujeres y disponiendo recursos para ello.
iii) Aprobación de un mejorado plan de derechos humanos y plan contra la violencia hacia las mujeres fortalecido en su ejecución multisectorial y respaldados por programas estratégicos con presupuesto propio.
iv) Políticas públicas activas para garantizar los derechos sexuales y reproductivos, incluyendo la despenalización del aborto, la implementación del protocolo nacional del aborto terapéutico y el acceso a la más amplia gama de métodos anticonceptivos, incluyendo la Anticoncepción Oral de Emergencia (AOE).
v) Generación de datos e indicadores que visibilicen la situación de la población afrodescendiente, según recomendaciones del Comité para la Eliminación de la Discriminación Racial (CERD).
vi) Respeto al principio constitucional de laicidad del Estado, que garantice la libertad religiosa, sin privilegiar ninguna religión o espiritualidad en particular. Esto implica también el fin del convenio con el Vaticano que obliga al pueblo peruano a pagar los sueldos de los representantes de la Iglesia Católica en el país.

Pleno respeto a los derechos políticos de las organizaciones sociales

Para superar décadas de coerción, represión y criminalización de las luchas y de las organizaciones sociales, es necesario:
i) derogar los decretos de la criminalización de la protesta emitidos por el gobierno saliente;
ii) dar solución a los cientos de casos de defensores del medio ambiente, de los derechos humanos y sindicales, criminalizados, agilizando los juicios pendientes, garantizando el debido proceso y los derechos políticos y sociales de los involucrados, considerando que la criminalización es una política del Estado en contra de los derechos fundamentales de la población peruana que debe acabar de inmediato;
iii) investigación de los responsables de los numerosos de actos de violencia contra participantes de protestas sociales que han dejado decenas de muertos y cientos de heridos en los últimos diez años, que tome en cuenta la cadena de mando para sancionar los verdaderos responsables y no solo a los subalternos que cumplieron órdenes.

Educación y salud para tod@s­
La educación y la salud son derechos fundamentales que deberán ser implementados por el Estado para promover la igualdad, la dignidad y la justicia. Para ello deberá:

i) aumentar la inversión pública en los sectores de educación y de salud;
ii) implementar el Plan Nacional Educativo, partiendo de la promoción de la interculturalidad, la equidad de género, la educación sexual integral y la enseñanza acorde a las realidades locales a lo largo y ancho del país;
iii) garantizar el derecho a recibir educación gratuita y de calidad;
iv) la implementación activa de políticas educativas que combatan las discriminaciones mencionadas anteriormente, y promuevan la democracia y la diversidad como valores principales en la sociedad peruana;
v) la promoción de la educación intercultural que se extienda también a sectores no indígenas.

Trabajo digno para tod@s
Las reformas neoliberales han implicado un deterioro dramático en el respeto a los derechos laborales, esto debe ser revertido por el gobierno entrante:

i) Aprobar una nueva ley del trabajo que elimine los services y todas las normas de flexibilización laboral, restituyendo la estabilidad laboral plena.
ii) Restituir la negociación colectiva por rama.
iii) Fomentar y proteger la sindicalización.
iv) Dictar un aumento general de sueldos, salarios y pensiones de emergencia y normar su actualización en relación con el costo de la canasta básica familiar.

Memoria, dignidad y reconciliación nacional
A casi veinte años del fin de la guerra interna persiste una tremenda deuda histórica con las poblaciones más afectadas por la violencia. El gobierno entrante tiene la enorme responsabilidad de finalmente dar paso a un proceso de reconciliación nacional que incluya:

i) La implementación de reparaciones integrales, incluyendo reparaciones económicas individuales justas, que promuevan la memoria y la dignidad de las víctimas de la guerra interna. Para ello es necesario derogar la norma que regula las reparaciones económicas individuales al margen de las recomendaciones de las organizaciones, promulgado por el Gobierno Aprista.
ii) Especial atención a la problemática de la esterilización forzada, que incluye reparación a las víctimas y castigo a los responsables de ese programa.
iii) Implementar de la manera más amplia posible las recomendaciones de la Comisión de la Verdad y Reconciliación.
iv) La intensificación de los procesos de recuperación de la memoria histórica.
v) Investigación y procesamiento a los responsables de todas las violaciones de derechos humanos en el marco de la guerra.

Elaborado en el "III Taller de Diálogo de Saberes y Movimientos: pistas para la transformación desde los Movimientos", que se realizó el 22 y 23 de julio en la ciudad de Lima.

Para adherirse escribir a:


Esta dirección electrónica esta protegida contra spam bots. Necesita activar JavaScript para visualizarla .

PROGRAMA DEMOCRACIA Y TRANSFORMACIÓN GLOBAL

Dirección: Jr. 6 de Agosto 838 - Interior E, Jesús María. Lima, Perú.
Teléfono: (+511) 7153450
Fax: (+511) 7153451
info@democraciaglobal.org
www.democraciaglobal.org


DISCURSO DE CRISTINA FERNÁNDEZ EN EL G20

Estimados lectores de "EL PENSIONISTA":

Con frecuencia la prensa nos trae una visión de la reelegida Presidenta de Argentina como un personaje frívolo y opuesto a los Derechos Humanos, imagen que no explica la abrumadora votación que obtuvo en su país para ser reelegida. Sugiero leer con atencion este documento. Tómense su tiempo, es importante.
Ruego leer el discurso de la Presidenta de la Nación, indispensable para entender por donde pasa todo. Imperdible, necesario y fundamental para quien pretenda accionar en política. Me lo envió una querida compañera, a quien agradezco, pieza imperdible. Vale la pena dedicarle 10 minutos a este discurso que creo va a ser histórico de la Presidenta ante empresarios del G20 en Cannes

PALABRAS DE LA PRESIDENTA DE LA NACIÓN, CRISTINA FERNÁNDEZ DE KIRCHNER, DURANTE SU PARTICIPACIÓN EN EL PANEL "SEGURIDAD ALIMENTARIA" DEL FORO DEL EMPRESARIO, EN LA CUMBRE DEL G-20, EN CANNES, REPÚBLICA DE FRANCIA.

He escuchado hablar de desarrollo, crecimiento, pero no puedo antes no reivindicar un poquito el género, frente a la expresión del señor Polman que nos quiere llevar a trabajar al campo, estamos dispuestas a colaborar las mujeres con el trabajo en el campo. Me hace acordar un poco cuando querían llevarnos únicamente a la cocina o de la cocina al campo ahora.
Pero creo que él toca un tema central, que está también vinculado con otro tema que se abordó y que es la creciente urbanización y despoblamiento del campo, que también está vinculado por lo menos, en la experiencia de la Argentina. Nosotros tenemos hoy entre el 90 y el 92 por ciento de población urbana, siendo por ejemplo el octavo país en extensión y siendo además, uno de los países líderes en producción agroalimentaria y esencialmente también líderes en materia de innovación tecnológica y productividad.
Hoy la Argentina tiene en el mundo -me atrevo a decir- el mejor grado de productividad por hectárea sembrada, a partir precisamente de la introducción, la innovación, la tecnología y la biotecnología que han sido imprescindibles y que van a continuar siendo imprescindibles para producir cada vez más y mejor.
Pero esto al mismo tiempo crea una contradicción, como sucede con todas las innovaciones tecnológicas y que es, a mayor grado de innovación tecnológica, a mayor grado de eficiencia productiva, menos número de empleo por hectárea, con lo cual estamos ante la contradicción que cada vez que avanzamos en productividad y que avanzamos en tecnología, se hace una reducción de la mano de obra y por lo tanto la gente a las grandes ciudades, porque carece de oportunidades.
Qué hemos formulado nosotros como una respuesta a este problema creciente que además despoblar el campo y urbanizar excesivamente las ciudades, trae problemas de inseguridad, trae problemas en infraestructura urbana, trae problemas de miseria, en definitiva una contradicción de lo que puede ser una gran producción agrícola.
Nosotros hemos presentado en el Plan de Agricultura Nacional, en el Plan Agroalimentario Nacional 20-20 como lema: la industrialización de la ruralidad. Por eso, en esta mesa me acompañan no solamente el ministro de Agricultura, Ganadería y Pesca, Julián Domínguez, sino también la ministra de Industria, Débora Giorgi.
Nosotros creemos que una de las claves unida a la tecnología, a la mayor productividad, es lograr el agregado de valor a cada uno de esos productos, a los distintos eslabones de la cadena productiva, en el lugar de producción. Esto tiene que ver no solamente con una cuestión de tener nuestras familias situadas en sus lugares de origen, sino que también va a ser un problema de competitividad, porque una de las cuestiones de la competitividad va a estar dada por la logística también.
Si yo evidentemente tengo también que trasladar mis materias primas a determinados kilómetros para poder industrializarlas, esto evidentemente me va a restar competitividad en lo que hace a la industrialización y al valor agregado, con lo cual el tema de industrializar la ruralidad que quiere decir agregar valor en el lugar de origen donde se produce la materia prima con alto grado de productividad y eficiencia, es uno de los objetivos, no solamente sociales sino también además económicos. Lo hemos definido como algo central, este es un tema que no se trata entonces de la mujer, sino también por ejemplo de nuestros jóvenes que por allí se capacitan en los centros universitarios, se capaciten también en aquellos sectores para volver a sus lugares de orígenes y agregar cada vez mayor valor, innovación y tecnología.
Ustedes saben que Argentina también en materia de biotecnología, es uno de los países líderes del mundo. Tenemos en Latinoamérica la mayor proporción de empresas de biotecnología por habitante. Hemos desarrollado esto que tiene que ver con la productividad que hemos alcanzado, con la siembra directa y con cosas que no voy a explicar porque todos ustedes saben perfectamente.
Pero quiero abordar los que son los puntos de la Seguridad Alimentaria. Esta Presidenta le ha tocado ser defensora de la Seguridad Alimentaria de la República Argentina, muchas veces con algunas críticas por parte del sector privado, porque hay un refrán en mi país que dice: "la calidad bien entendida empieza por casa", y si no puedo asegurar la seguridad alimentaria de mi pueblo, mucho menos voy a poder contribuir a la seguridad alimentaria global.
Pero de hecho la Argentina, en esta seguridad alimentaria, que es una gran productora de alimentos con apenas 40 millones de habitantes y con posibilidades de producir alimentos para 400 o 500 millones manteniendo esta seguridad alimentaria, porque tenemos excedentes suficientes, cosa que no les sucede a otros países que tienen productividad, que alimentan pero por su gran número de población no alcanzan a tener grandes excedentes, coloca a la Argentina en un lugar privilegiado como productora agroalimentario y como contribuir a la seguridad alimentaria. De hecho hemos pasado de 67 millones de toneladas de granos a 102 millones de toneladas de granos en esta última cosecha. Y la brecha creo que conservadora del señor ministro de Agricultura, yo creo que vamos a ser más, es para el 20-20 año 2020 producir 160 millones de granos.
Creo personalmente que con el desarrollo actual de la Argentina, con el nivel de inversión que tiene también el productor en la República Argentina, el sector privado, más el nivel -que aquí quiero también tocarlo- de infraestructura que ha construido el Estado, quiero decirles que del año 2003 a la fecha los planes de infraestructura han crecido exponencialmente, a punto tal que han llegado a constituir entre 4 y 5 puntos del PBI en el último ejercicio, por ejemplo, a través de programas como el PROSAC financiado por el Banco Interamericano de Desarrollo del cual también se habló aquí de cómo financian los organismos multilaterales, hemos logrado la irrigación de más de 2 millones de hectáreas.

¿Cuál es el problema que yo veo en lo futuro?

Puede ser el climático, evidentemente inmanejable para nadie. De hecho Argentina tuvo un importante período de sequía durante el año 2008 y 2009, con lo cual he encomendado al señor ministro de Agricultura y a todo el sector de Infraestructura y lo he charlado también con los productores y el sector empresario, que la tarea de irrigación es fundamental para prevenir la sequía, en un país donde además tenemos un acuífero muy importante.
Ustedes saben que América del Sur tiene algo así como el 25 o 30 por ciento de reserva del agua potable del mundo, con lo cual nosotros podemos con un fuerte Plan de inversiones, garantizar por lo menos de no tener que mirar el cielo, a ver si cae agua. Esta es una de las claves también en infraestructura de puertos. Tenemos un complejo, el complejo oleaginoso, o sea el granero más importante está en el puerto de Rosario y hemos desarrollado una infraestructura que es la Hidrovía, que nos permite -ustedes saben- el transporte marítimo. Es, en el término de costos una ecuación importante y estamos también volviendo a desarrollar luego de muchas décadas, el transporte ferroviario.
Todos sabemos que el transporte en camiones, más allá de los 100, 150 kilómetros, torna no competitiva a la producción, con lo cual es necesario contar con transporte a través de ferrocarriles y fundamentalmente marítimos, para poder por ejemplo en el caso nuestro, llegar en el año 2014-2015 directamente con barcos de muy alto calado hasta Asunción, lo que significaría poder sacar la producción vía marítima de todo lo que es el sur de Brasil, de todo lo que es Paraguay, de parte de Bolivia, de toda Argentina y obviamente de Uruguay que allí está. Con lo cual también concebimos a la infraestructura tal cual se ha explicitado aquí, como algo fundamental en esta cuestión.
Otra de las cosas que ha abordado el señor Polman, es también el término de la inversión; la inversión también ha crecido exponencialmente en la República Argentina en materia de producción agroalimentaria, y ahora también se ha incorporado a través de leyes promocionales del Estado, el tema de la inversión. Yo sé que en materia de seguridad alimentaria es un tema muy discutible que es el tema del bioetanol y el biodiesel, pero el tema de los combustibles y la competitividad de la utilización de los combustibles en el sector agrícola también tiene que ver. Nosotros estamos apuntando objetivamente a que el propio productor negocie, obtenga su propio combustible, de manera tal de poder quedar no sujeto a la variable de un commodity internacional, como es el petróleo que puede impactar negativamente en la producción.
Si el productor argentino pudiera independizarse definitivamente y la variable energética para la producción, estaríamos logrando aún mayor competitividad porque estaríamos eliminando una variable de carácter internacional.
El tema de transparencia, creo que también se habló de investigación y tecnología, quiero adelantarles que nosotros estamos analizando en estos momentos más de 200 eventos tecnológicos. Hace muy pocos días, más de un mes entre el INTA que es un organismo estatal en la cual está integrada también la parte privada, hemos logrado la primera vaca transgénica productora clonada, vaca clonada productora de leche materna. Estamos realmente con investigaciones muy importantes en este sector, estamos trabajando también con semillas, como ya se indicó, de mayor profundidad en su raíz, para que ante una eventual sequía, puedan obtener agua, y también hacerlo sustentable de manera tal que esto no signifique afectar y tocar el medio ambiente, con lo cual los temas que se han abordado aquí, son realmente motivo de este Plan 20-20, son además una realidad en la República Argentina.
Hablábamos también de producir mejor y quería tocar el tema de la agricultura familiar, que fue un tema que también se abordó aquí y quiero decirles que prácticamente el 70 por ciento de lo alimentario en la República Argentina está sostenida por la agricultura familiar. Tenemos un gran desarrollo de agricultura familiar, en horticultura, en fin en todo lo que constituye la mesa de la familia.
Se habló también de la responsabilidad del empresariado y de empresa social, creo que alguien habló de empresa social aquí. En Argentina hay un gran desarrollo en materia de cooperativas, que es la forma más social que podemos abordar nosotros en una economía capitalista -de eso estamos hablando- y que la Argentina ha tenido un gran desarrollo. De hecho un 20 por ciento de la producción granaria se comercializa a través de cooperativas y algunas se están disputando a las grandes cerealeras, a las grandes exportadoras poder participar aún en mayor grado también de esa comercialización. Una de nuestras empresas líderes lácteas, SANCOR, está conformada precisamente en la Cuenca lechera de la República Argentina, bajo la forma de cooperativa. La cooperativa es una experiencia exitosa en la Argentina en materia de producción, de inversión tecnológica y de inversión productiva.
Quería hablar especialmente de la transparencia de los mercados que en definitiva, es el tema que abordaron los tres que me precedieron en el uso de la palabra, el señor Polman entre otros, pero fundamentalmente el señor ministro de Agricultura de la República de Francia en cuanto a la regulación de los mercados.
Yo creo que el problema no reside en el problema de los granos, creo que el problema reside en el sistema financiero. Creo que enfocar únicamente el problema de regulación de los mercados como una cuestión de seguridad alimentaria únicamente sobre los commodities, me parece una visión absolutamente parcializada, lo digo con honestidad. Porque de manera tal también podríamos decir entonces que deberíamos regular el mercado de las patentes medicinales. Por ejemplo, es muy importante comer porque si no uno se muere. Ahora también, si uno no cuenta con tecnología y con remedios, también se muere. O sea que si hablamos de seguridad alimentaria, si hablamos de seguridad de vida porque en definitiva estamos hablando de seguridad de vida, deberíamos también por ejemplo, hablar de regular el mercado de royalties y patentes medicinales, porque creo que en África no solamente se mueren de hambre sino que también se mueren por no contar con medicamentos, con atención sanitaria, sin embargo, hasta ahora no he escuchado ninguna palabra acerca de regulación de los mercados, por ejemplo, de tecnología sanitaria que son claves, y además, es tan humillante morirse de hambre como morirse por no tener una aspirina o no tener una vacuna.
Me parece que entonces cuando hablemos de regulación para cuidar la vida, tenemos que hablar de todos los aspectos, pero fundamentalmente del empleo, de la posibilidad de un empleo digno que es necesario introducirlo también en esta cuestión. Nadie puede tener seguridad alimentaria, seguridad de vida si no cuenta con un trabajo que le proporcione los elementos, y por eso creo que el empleo va a ser un tema de este G20, que le proporcione las posibilidades; empleo que además, tiene que ver también con volver a un verdadero capitalismo. Porque yo creo que estamos hoy, -sinceramente lo voy a plantear más tarde con mis colegas- en una suerte de capitalismo anárquico o anarco capitalismo financiero, si se me permite. Los mercados financieros hoy están en los commodities y conviene en los commodities, mañana o pasado mañana están en el petróleo según como vaya el petróleo, y pueden mañana dedicarse a los mercados de caramelos si realmente tienen posibilidades de obtener un peso más sin trabajar, sin producir y sin invertir para perfectamente especular.
Por eso nosotros estamos sosteniendo que el verdadero problema es la falta de regulación de los mercados financieros en el mundo.

Señores:

Las grandes cerealeras, las grandes empresas por más grandes que sean, solamente pueden hacer movimientos especulativos evidentemente dentro de lo que constituye el sistema financiero. No hay posibilidades de especular, no hay posibilidades de obtener mayores o menores tasas de interés, si no está regulado también el mercado financiero en cuánto va a invertir, a quiénes va a financiar, cómo vamos a financiar, en qué condiciones. ¿A quiénes vamos a financiar? Vamos a seguir financiando a los brokers que solamente hacen derivados financieros o vamos a financiar a los que producen alimentos, bienes y servicios. Esta es la clave, creo que enfocar el tema en la regulación del mercado de commodities o de alimentos, es una visión absolutamente parcializada.
Yo soy fanática de la Realpolitik y sé dónde se deciden las cosas y dónde se adoptan las decisiones. Si quienes lideran el mundo, porque han querido liderarlo también además, no dan soluciones claras y concretas sobre el sistema de regulación financiera, si solamente siguen apuntando a controlar a ver en qué gasta cada país las cosas pero no controlan qué hace cada banco de inversión, en lo que hace cada calificadora, en lo que hace cada movimiento de Bolsa, díganme ustedes, son todos hombres de negocios o por lo menos vinculados a los negocios: ¿qué creen que pasa cuando un día la señora Merkel se levanta y dice algo que parece que cayó mal y las Bolsas se van a pique y pierden 4 o 5 puntos? Al otro día se levanta el señor Sarkozy dice algo importante que parece que calma todo y vuelven a subir otros 10 puntos, al otro día el señor Papandreu decide una consulta popular y nos vamos todos para debajo de vuelta.
Ustedes creen que no hay gente que gana miles de fortunas con esos movimientos sin hacer absolutamente nada, solamente sentado en un escritorio y manejando una computadora. Eso, los líderes del mundo no han logrado solucionarlo y han pasado 3 años. Y por supuesto, cuando han pasado 3 años y no le dan la solución, cada vez se agrava más. Si lo tratan con aspirinas, si lo trata un médico, en este caso el Fondo Monetario Internacional, si lo trata además el G20, si le están dando medicinas, han inyectado miles de millones de dólares y de euros en el sistema financiero.
Yo sostuve en la reunión de Londres del día 2 de abril, que era necesario obligar a los sectores financieros a volcar a la economía real, esos recursos, porque si no hay consumos, señores, no hay capitalismo, no hay posibilidades de crecimiento de la economía.
Si nosotros hacemos planes de ajuste, si la gente no puede gastar plata, si la gente está endeudada en más del ciento por ciento de sus posibilidades, yo quiero que alguno me diga, desde Adam Smith, desde David Ricardo, desde Keynes, si no les gusta para algunos más de izquierda de Carlos Marx, cómo vamos a hacer para que vuelva a crecer la economía si no hay consumo, si el capitalismo hace eso, que la gente consuma y que ustedes, los empresarios produzcan y vendan cada vez más. Este es el tema, esto es lo que está fallando.

¡Quién me habría visto de mis épocas universitarias ahora!

O sea lo que estoy proponiendo es volver al capitalismo en serio, porque esto que estamos viviendo, señores, no es capitalismo. Esto es un anarco-capitalismo financiero total, donde nadie controla a nadie. (APLAUSOS)
Entonces, la propuesta es que regulemos a los que realmente tenemos que regular. Resulta que vamos a regular a los países y ver cómo pueden ajustar. Además, van cayendo los liderazgos, y además, permítanme desde la política no ya desde la empresa, se van a comenzar a cuestionar los fundamentos de la democracia. Porque cuando la gente vea que la democracia no le da posibilidades de trabajo, de progreso, de tener casa, de salud, comienzan a cuestionarnos los funcionamientos del sistema político.
Ustedes piensen no en términos de 2 o 3 años, piensen en términos de la evolución histórica de la humanidad, lo que ha pasado cada vez que el pueblo no ha podido comer. Y lo digo acá en Francia, cuna de la Revolución Francesa; cambian los sistemas. No estoy anunciando el fin de ningún sistema por favor. Simplemente estoy viendo mirar con perspectiva histórica y mirarlo con perspectiva de liderazgo histórico y ver que es necesario hacer un cambio en serio, porque también lo que algunos creen que está sucediendo en otros países, alguien habló recién de lo que pasa en África cuando la gente no puede comer o en Magreb cuando pasó lo que pasó, pero tampoco nos creamos el tema de la famosa revolución árabe que solamente tiene que ver con la comida. Tiene que ver también con gentes que tiene sistemas políticos diferentes a los nuestros y que no quiere vivir con las formas democráticas occidentales. No lo veamos solamente con un problema económico. El que crea que la primavera árabe es una cuestión de que quieren vivir como nosotros los occidentales, con división de poderes y demás, no me parece que se está leyendo correctamente. Y si no miren las fotos de la gente que festeja la caída de los gobiernos y vamos a ver gente vestida como musulmanes, islamistas absolutos y además, en la primera elección que se hizo en Túnez, la ha compartido islamista moderado pero islamista -y no tengo nada contra el Islam, en absoluto- simplemente les digo: tengamos una real comprensión del mundo en el que estamos. No nos equivoquemos y sepan que si esto se profundiza, van a empezar a cuestionarse las democracias y las formas políticas actuales.
Europa también tiene una historia en esto, de cómo surgen gobiernos totalitarios en medio de crisis económicas insolubles y que no pueden resolverse.
Yo creo que estamos a tiempo, no quiero ser dramática, ni tremendista, ni sembrar pánico porque no es mi misión como Presidenta de la República y tampoco porque lo creo. Creo que estamos en tiempo todavía y forma de poder establecer soluciones, pero soluciones que tengan que ver con la regulación de aquellos que han provocado el problema.
Pero además, y para finalizar, si uno ha probado ya durante 3 años determinadas medicinas y con determinados médicos y el enfermo se agrava cada vez más, ¿no será que habrá que cambiar de médico y de medicina e intentar otro tratamiento?
Esto es una cuestión de pura lógica, intentar resolver los problemas de la misma manera con la que fueron originados, decía Einstein que es de gente no demasiado cuerda.
Con esto quería finalizar, discúlpenme yo soy un poco....cuando hablo....están todos mirándome como si hubiera....pero es un poco los que me conocen.....me apasionan los temas, me interesan los temas, nada me es indiferente. Estoy absolutamente convencida de que tenemos que cambiar un montón de cosas y si me he propuesta de vuelta como Presidenta de la República Argentina, precisamente ha sido para colaborar con mi país, pero también saber que colaborar con mi país es colaborar con el resto del mundo para que las cosas se solucionen, porque la Argentina no es una isla, ni lo quiere ser tampoco. Al contrario, está absolutamente integrada al mundo tal vez como nunca.
Hemos crecido en nuestro comercio exterior de la década de los 90 en forma exponencial también, hemos duplicado nuestra integración al mundo en materia de comercio. Así que, déjenme que esta vehemencia es un poco la pasión y las ganas de solucionar los problemas. Muchas veces hay que afectar intereses, eso sí.
Esta es la otra gran definición y con esto quiero terminar: es cierto que muchas veces para solucionar determinados problemas, hay que afectar intereses e intereses que son muy poderosos. Pero yo me atrevo a decir que es mejor enfrentar esos intereses minoritarios pero poderosos, antes que más adelante enfrentar la furia de la sociedad. Se los digo con la experiencia de una Argentina que vivió un 2001 caótico que hizo colapsar prácticamente nuestro sistema institucional y dividió a la sociedad.

Muchas gracias
http://profesor-daniel-alberto-chiarenza.blogspot.com/